SUPERVISIONI CLINICHE ex allievi

Se hai terminato uno dei percorsi clinici del Centro di Terapia Strategica e vuoi continuare a formarti con il CTS ecco le GIORNATE DI SUPERVISIONE ALLA PSICOTERAPIA! Queste giornate nascono con l’obiettivo di garantire agli ex allievi dell’Istituto un costante affiancamento nella gestione degli aspetti relativi alla tecnica, alla comunicazione, alla relazione terapeutica ed al processo di cambiamento. Una supervisione mensile nella regione di appartenenza realizzata da parte di uno dei didatti/supervisori senior del Centro di terapia strategica selezionati direttamente dal prof. Giorgio Nardone.
Gli incontri, organizzati in sessioni di gruppo, garantiscono non solo una guida sugli interventi ma anche l’occasione per un interscambio di esperienze.

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Per informazioni e/o adesioni puoi mandare una mail a info@centroditerapiastrategica comunicando il nome del Supervisore che hai scelto ed iniziare il tuo anno di supervisione clinica: sarai sempre aggiornato sulle tecniche più evolute della terapia breve strategica Modello Giorgio Nardone.

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TROPPO È NEMICO DI MEGLIO

QUANTO AIUTARE I FIGLI?
“Troppo è nemico di meglio”: se aiutare i figli è una sana propensione genitoriale, cercare, invece, di eliminargli tutte le difficoltà nel tentativo di rendergli la vita più facile, fino a intervenire direttamente nelle loro faccende al posto loro, può avere effetti deleteri. Infatti, quanto più si ridurranno i disagi e si annulleranno le sofferenze e le paure, tanto più si cresceranno figli incapaci di fronteggiare dolori e difficoltà a cui la vita inesorabilmente prima o poi metterà di fronte. È questo il paradosso della ricerca del benessere che le famiglie iperprotettive si trovano a vivere. Purtroppo, nella pratica clinica ho potuto appurare come questa modalità genitoriale sia di gran lunga la più diffusa oggigiorno. Il figlio viene superinvestito ed elevato a simbolo del valore positivo o negativo dell’intero nucleo familiare: un suo successo o insuccesso (scolastico o sportivo ad esempio) o una sua anormalità (troppo grasso, denti “storti” ecc.) qualifica o squalifica il genitore che così non potrà non intervenire per difenderlo e soprattutto per difendersi. Così facendo però non risolveranno le problematiche dei figli, finendo spesso per aggravarle.

Da un punto di vista comunicativo-relazionale, la sovrabbondanza di cure, infatti, veicola un implicito messaggio d’amore: “faccio tutto per te perché ti amo”; ma questo contiene al suo interno anche una sottile squalifica: “faccio tutto per te perché forse da solo non ce la faresti”. Proprio questo secondo messaggio sotteso potrà veicolare la sensazione o il sospetto nel figlio di essere un incapace fino a renderlo tale, realizzando così la nefasta profezia. I figli si ritroveranno quindi all’interno di un circolo vizioso dove, sempre meno chiamati a rendere conto delle proprie azioni, saranno portati a chiedere sempre più spesso l’intervento dei propri genitori. Più chiederanno aiuto e più lo otterranno, andando così a confermare l’idea che ciò sia indispensabile. Non accetteranno più le frustrazioni e probabilmente inizieranno a reagire con aggressività se i propri bisogni e desideri non saranno soddisfatti. Quanti adolescenti di oggi sono così?

Gli inglesi hanno coniato un nuovo termine per questi genitori: snowplough parents, letteralmente “genitori spazzaneve”, perché ripuliscono ogni cosa davanti ai loro figli in modo che nulla possa andare loro storto e possa minacciare la loro autostima. Spesso sono madri e padri che rifiutano l’idea che i propri pargoli possano soffrire; sono impreparati ad affrontare gli insuccessi dei figli, non vogliono trovarcisi perché non sanno come uscirne. È come se dicessero: «Non create problemi a mio figlio perché così li create a me». E allora, la tentata soluzione più facile da adottare è dire sempre sì, spianare loro la strada: sono “genitori non genitori” che rinunciano a priori ad educare i propri figli cercando di semplificare loro tutto. Il che si traduce in bambini iperprotetti che diventano incapaci di affrontare un fallimento: se si evita ad un figlio di soffrire, questi non imparerà a gestire la sofferenza; se lo si protegge da ogni timore, non imparerà a superarne alcuno e non sarà in grado di costruire la sua resilienza.

Anche se per molte persone è ancora oggi improponibile pensare che troppo amore possa ammorbare, l’evidenza dei fatti ci dice invece che il troppo amore, quando si trasforma in compassione, diviene dannoso per la crescita dei figli.

Seguendo allora l’antico stratagemma cinese “lanciare il mattone per avere indietro la giada” potremmo iniziare a boicottare volontariamente e quotidianamente una nostra piccola azione protettiva, affinché i nostri figli possano costruirsi le proprie risorse e la personale capacità di resilienza, fino a rendere questo circolo di aiuti non più vizioso ma virtuoso.

COME SUPERARE LO STRESS DA FINE VACANZE?


Oggi siamo ben coscienti del valore terapeutico delle vacanze e delle pause, in una società globalizzata che si muove sempre più in fretta e che non ha tempo per il riposo. Nonostante ciò sono circa sei milioni gli italiani che soffrono di stress da rientro, non una vera e propria patologia, ma una condizione di disagio che mostra sintomi quali spossatezza, ansia diffusa, mal di testa, stordimento, irritabilità, dolori muscolari, inappetenza, sonno disturbato, tachicardia, e, nel peggiore dei casi, una lieve depressione. Questi sintomi sono generati da una condizione psicologica negativa per aver vissuto una vacanza spensierata che la persona costantemente rivive in veste nostalgica. La sindrome dello stress da rientro è dovuta quindi al cambiamento delle abitudini che caratterizza il periodo estivo e dal passaggio da una condizione di relax e divertimento al ritorno alla routine quotidiana, fatta di lavoro e responsabilità.

Psicologicamente non pronti al rientro, incapaci di concentrarsi, irritabili e soggetti a sbalzi di umore, lo stress prende il sopravvento, accompagnato da un senso di incapacità e frustrazione. Affrontare il ritorno dalle vacanze è comunque possibile, basta seguire alcuni piccoli accorgimenti per affrontare con maggior tranquillità il recupero delle consuete abitudini.

Abituarsi gradualmente sul finire delle vacanze ed in prossimità del ritorno a casa cominciando a recuperare le consuete abitudini evitando ad esempio di fare “mangiate pantagrueliche” o di andare a dormire all’alba. Se possibile magari rientrare dalle vacanze alcuni giorni prima della fine delle ferie, evitando così un brusco impatto con i ritmi della quotidianità. Una volta rientrati è poi fondamentale riprendere tutte le consuete attività con gradualità: porsi piccoli obiettivi, non farsi prendere la mano dalla mole di lavoro, concedersi le necessarie ore di riposo notturno e solamente in un secondo tempo quando ormai si è conclusa la fase di “acclimatamento” dedicare attenzione ed energie a progetti più impegnativi. Evitare di ricominciare immediatamente a “rimuginare” su vecchi problemi o progetti di lavoro. Se possibile, programmare meglio le nostre giornate, magari lasciando del tempo per una lunga passeggiata: per stare bene abbiamo bisogno di cose belle e piacevoli tutti i giorni.

Fare attività fisica: il movimento promuove la produzione di endorfine, molecole del buonumore, che contrastano tanti dei sintomi descritti, riducono lo stress e favoriscono il riposo. Molti di noi rimpiangono l’aria aperta che caratterizza i giorni di vacanza, il sole, le nuotate, le passeggiate, l’attività fisica e quella sensazione di benessere così piacevole che permeava il nostro corpo: è indispensabile non “seppellirsi” in casa o in ufficio per i prossimi mesi ma ritagliarsi degli spazi per fare un po’ di sport magari concedendosi una semplice ma benefica passeggiata durante la pausa pranzo.

Curare l’alimentazione, che deve essere il più possibile corretta e bilanciata: la ricchezza vitaminico-minerale e gli zuccheri contenuti nella frutta affiancati ai carboidrati, senza esagerare, hanno un impatto positivo sul nostro umore aumentando la produzione di serotonina e aiutandoci ad affrontare la giornata con tutta l’energia di cui abbiamo bisogno. E se durante la vacanza ci siamo lasciati conquistare da un “souvenir gastronomico”, sappiate che questo ci sarà di grande aiuto poiché la rievocazione di abitudini legate alle vacanze, a partire dall’alimentazione, potrà contribuire a rendere più soft il ritorno al lavoro.

Mantenere o acquisire l’abitudine ad una ricca colazione: la prima colazione è fondamentale per il benessere dell’organismo, dando a tutto il nostro corpo un chiaro segnale di benessere.

Spostare l’attenzione su cosa desideriamo e sulle nostre capacità. Ad esempio se durante le ferie estive abbiamo coltivato dei piacevoli hobby non abbandoniamoli del tutto ma proviamo a praticarli durante il tempo libero dal lavoro: dedicarsi quando è possibile ad un’attività rilassante e gratificante ci aiuterà a conservare un po’ della magica atmosfera propria delle vacanze.

Concedersi un weekend per ricaricarsi e cominciare al meglio la settimana che ci attende: finché le temperature lo consentono dedicate i fine settimana al relax, famiglia e gite, come se le vacanze non fossero mai finite. Il segreto è fare in modo che le giornate di lavoro siano inglobate tra molti momenti piacevoli, poiché come scriveva Ann Landers: “Non si ha mai tanto bisogno di una vacanza quanto nel momento in cui vi si è appena tornati”.

PAURA DI ARROSSIRE?

PAURA DI ARROSSIRE? (da Corriere Vicentino giugno 2016)
La paura di arrossire, o eritrofobia, è una paura piuttosto diffusa, che crea un forte disagio in chi ne soffre. Nasce da un forte senso di imbarazzo o di vergogna, che può generare una risposta fisiologica involontaria avvertita come un “senso di bruciore” al volto e sul collo. 


Il problema inizialmente può presentarsi quando la persona si ritrova improvvisamente al centro dell’attenzione, come quando chiamano il suo nome o qualcuno le rivolge una domanda in presenza di altre persone. L’idea che altri possano notare il rossore provoca poi ulteriore imbarazzo. A questo punto la persona cerca solitamente di controllare le proprie reazioni fisiologiche per ridurle finendo però per produrne un’alterazione: la paura di perdere il controllo fa aumentare i tentativi di controllo, ma purtroppo ciò che è involontario non può essere volontariamente prodotto o inibito, così che il controllo ossessivo genererà suo malgrado una maggiore perdita di controllo. L’ipervigilanza sulle proprie reazioni fisiologiche involontarie crea quindi un effetto paradossale, dove ciò che si vuole pervicacemente ridurre viene invece alimentato proprio da questi nostri tentativi, finendo per generare una sorta di profezia al contrario che si autorealizza proprio nel tentativo di aver cercato di scongiurarla. Grazie a questi tentativi inefficaci, se la paura di arrossire non viene ben gestita, e il tentativo di controllo viene così bene reiterato nel tempo, può innescarsi un’ansia anticipatoria che produce la risposta fisiologica anche in circostanze irrazionali portando così la persona a limitarsi sempre di più. Inizierà ad evitare tutte le situazioni ed i luoghi che la potrebbero far sentire a disagio, alla ricerca di un benessere che scoprirà però essere solo momentaneo: ogni evitamento difatti gli confermerà di non essere capace di affrontare quei luoghi o quelle situazioni temute e lo farà sentire progressivamente sempre meno capace riducendone l’autostima. Proverà allora ad affrontale prendendo delle precauzioni quali stare in posti dove c’è ombra, coprendosi il volto, usando creme o un fondo tinta speciali per ridurre la manifestazione del problema. Diverrà così probabilmente del tutto incapace di affrontare il mondo senza l’uso delle sue precauzioni, che ogni volta dovranno essere sempre più coprenti e protettive, finendo per evidenziare, a volte anche fino al ridicolo, ciò che invece avrebbero voluto celare.

Si può intervenire strategicamente ed in tempi rapidi su questo tipo di problema andando ad interrompere le tentate soluzioni disfunzionali che non risolvono ed anzi, come abbiamo visto, finiscono per complicare e mantenere il problema. A tal fine si utilizzeranno manovre ed interventi studiati ad hoc per rovesciare dall’interno il meccanismo disfunzionale restituendo alla persona la capacità di affrontare le situazioni sino ad allora temute. Grazie ad un intervento paradossale si potranno interrompere le tentate soluzioni che non hanno funzionato introducendo nuove modalità funzionali. 

CAMBIARE PER CRESCERLI

  
È arrivato “Cambiare per crescerli. L’intervento strategico per bambini in età prescolare” del mio amico dr. Massimo Bartoletti. Frutto di oltre quindici anni di lavoro dell’autore con educatori e genitori, si presenta come un manuale operativo che guida il lettore dalla definizione del problema all’attuazione delle strategie per risolverlo. Scritto con un linguaggio chiaro e grazie alla descrizione di numerose situazioni reali risulta adatto sia all’esperto che al grande pubblico. Buona #lettura. #marcopagliai #psicologia www.marcopagliai.com 3382629134
https://www.facebook.com/psicopagliai/posts/495148550690634

COME SCENDERE DALLA PAURA DELL’AEREO

LA PAURA DELL’AEREO
Quella dell’aereo è una delle paure più diffuse, anche se per molti non così invalidante, dal momento che si possono comunque scegliere per le vacanze destinazioni raggiungibili via terra o via mare o qualora fossimo costretti, ad esempio dal lavoro a dover raggiungere mete lontane, potremmo farlo ricorrendo a mezzi di trasporto alternativi. E a nulla servono le statistiche che vedono come più sicuri i viaggi in aereo rispetto a quelli in auto, e i continui ragionamenti per autoconvincersi che in fondo non c’è nulla da temere, che l’aereo lo prendono tutti e che ogni giorno ne decollano e atterrano a centinaia di migliaia.

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TENTATA SOLUZIONE (1)
Quando c’è di mezzo la paura, la rassicurazione non funziona. La paura è un’emozione arcaica che non può essere frenata dalla ragione. La paura quando arriva arriva, e lo sanno bene coloro che ne vengono travolti. La ragione di fronte alla paura soccombe poiché va da sé che si inneschino tutti i meccanismi fisiologici involontari sollecitati da questa emozione.

TENTATA SOLUZIONE (2)
Così come non funziona continuare ad evitare l’aereo pensando che si possa tranquillamente farne a meno: evitare le situazioni spaventose, fuga dopo fuga, rende la situazione temuta una montagna insormontabile da scalare, sino a distruggere completamente il più minimo senso di fiducia nelle proprie capacità.

TENTATA SOLUZIONE (3)
Ancora più pericolosa per chi si trova a migliaia di metri di altezza,  tanto da generare un vero e proprio attacco di panico, è poi l’eccessiva attenzione su di sé e sulle proprie reazioni neurofisiologiche che prende avvio già ancor prima di allacciarsi le cinture di sicurezza e che continua ad aumentare non appena l’aereo comincia a prendere velocità ed arriva ad esplodere nel momento in cui le ruote si staccano da terra. Pensare di controllare queste reazioni, cercare di allontanarle da sé, di reprimerle le rende ancora più minacciose.

COSA FARE?
È stato messo a punto un intervento strategico efficace che si basa sul sovvertire ognuna di queste modalità disfunzionali di controllo attraverso prescrizioni specifiche che guidano la persona, in maniera del tutto suggestiva, a superare il problema. Utilizzando la peggiore fantasia, dove il paziente sperimenta che nel momento in cui è lui a ricercare volontariamente le reazioni fisiologiche provocate da questa emozione spaventosa, essa svanisce, si farà poi eseguire alla persona un rituale specifico da svolgere il giorno del viaggio così che già all’arrivo in aereoporto svolga una sequenza di  azioni che sposteranno l’attenzione da sè alla buona esecuzione della prescrizione.

Perchè il momento più pericoloso di un viaggio in aereo è quando ci si avvicina all’areoporto… Infatti, come diceva l’attore Milton Berle: “non viaggio mai in aereo. Il viaggio verso l’aeroporto mi fa venire il mal d’auto”.

TENTATE SOLUZIONI

“Si racconta di un mulo che stava attraversando con il suo carico di legna l’usuale viottolo giornaliero dalla fattoria a valle fino alla baita, in montagna, quando trovò la strada sbarrata da un grosso tronco che era caduto nella notte e che ostruiva il passaggio. Il mulo, dopo un primo momento di smarrimento, cominciò a spingere con la testa il grosso tronco senza però riuscire a spostarlo di un solo centimetro. Decise allora di intensificare il suo tentativo prendendo la rincorsa e dando delle forti capocciate al tronco per cercare di spostarlo. Capocciate che diventarono sempre più violente con il ripetersi dei tentativi. Ciò condusse il mulo a morire della rigidità e cocciutaggine”. ( Nardone,1995)

Le tentate soluzioni sono le reazioni e i comportamenti messi in atto dalle persone per affrontare le difficoltà nel rapporto con se stessi, con gli altri e con il mondo; reazioni e comportamenti che spesso complicano piuttosto che risolvere e che finiscono per irrigidirsi in ridondanti modelli disfunzionali di interazione con la realtà. Il tentativo di soluzione è la reazione che il soggetto crede migliore per una determinata situazione, perché ha già funzionato in passato in situazioni simili o perché spontanea. Se tale strategia funziona, il problema in breve tempo si estinguerà; se tale strategia non funziona allora chiaramente il problema continuerà a persistere. Purtoppo chi vive tale sofferenza sarà portato ad intensificare e a ripetere i suoi tentativi come il mulo della storia, ma più questi verranno reiterati, più le difficoltà iniziali appariranno irrisolvibili o si complicheranno, fino a far sì che tali tentativi divengano parte strutturante del problema. Gli sforzi compiuti, le “tentate soluzioni” verso il cambiamento andranno a costruire un circolo vizioso che non solo manterrà la situazione problematica la addirittura la alimenterà facendola peggiorare.

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A livello pratico, per esempio chi sperimenta la sensazione di paura nei luoghi aperti può cominciare ad evitare delle situazioni o ancora a chiedere sostegno sociale da parte di amici, parenti o del coniuge sentendo di non poter fare a meno di tale tipo di aiuto. In realtà, però, evitare e chiedere aiuto funzionano come “tentate soluzioni” che non risolvono il problema ma invece lo fanno persistere alimentando le paure e tenendo il soggetto imprigionato nella sua convinzione di non potercela fare da solo.

Scopo dell’intervento terapeutico sarà quello di produrre il cambiamento, attraverso la rottura del circolo vizioso costituito dalle tentate soluzioni che mantengono ed alimentano il problema nel qui ed ora. Tale rottura sarà data dall’utilizzo di tecniche costruite con procedure rigorose sul problema, producendo uno sblocco dalla situazione di difficoltà già dalle prime sedute di terapia conducendolo rapidamente alla soluzione del problema ed alla scoperta di risorse personali fino ad allora sconosciute.

IL MAL D’AMORE

Il mal d’amore – GuidaPsicologi.it.

Nulla è più irrazionale dell’amore, l’amore che ci fa dire: “Non posso fare a meno di te“, “Non riesco a stare lontano da te“, “La vita non ha senso senza te“.

Poeti, cantanti, scrittori, filosofi hanno cercato di definire l’inspiegabile, ma quale possibile spiegazione può esistere al fatto di provare improvvisamente emozioni forti e travolgenti per uno sconosciuto con il quale desidereremmo passare il resto della nostra vita?

Da professionista nella risoluzione di problematiche umane anziché soffermarmi sul dare definizioni sono chiamato a trovare soluzioni per chi, stretto tra le poderose braccia dell’amore, ne rimane intrappolato. La soluzione poi, potrà aiutarmi a svelare ancor meglio il perché e il come sia finito nella trappola.

Per questo motivo, piuttosto che dare rilevanza al perché certe problematiche più o meno invalidanti si vengano a formare trovo utile porre l’attenzione su come queste si mantengano nel presente e come sia possibile arrivare alla loro soluzione. Conoscere il perché del problema, infatti, non corrisponde necessariamente alla sua soluzione: probabilmente molte persone sanno perché si trovano in quella difficoltà ma non sanno comunque come uscirne.

Ad esempio, sarà capitato a tutti almeno una volta nella vita, di trovarsi accanto la persona che sappiamo non essere quella giusta. Per salvaguardare l’amore, che spinge proprio verso chi razionalmente non è esattamente quello che vorremmo, i tentativi di soluzione andranno probabilmente in due direzioni differenti: cercare di cambiare l’altro oppure cercare di cambiare se stessi.

Accettarsi e accettare

Nel primo caso la persona recriminerà, si lamenterà, rimprovererà continuamente ad ogni occasione: risultato? La rottura definitiva o il conflitto continuo. Nel secondo caso, il risultato sarà altrettanto disastroso, non solo per la relazione, ma anche e soprattutto per chi, continuamente in lotta tra sé e sé, ha l’illusione di potersi trasformare e diventare più meritevole e amabile per l’altro, con l’unico risvolto di rendersi scontato, perciò noioso.

Riuscire a guardare all’amore senza quelle lenti deformanti costruite dai miti di eternità, perfezione, perenne serenità, del “vissero felici e contenti” mettendo in conto delusioni, limiti e difetti aiuta a vaccinarsi dall’esito patologico, inteso come ammorbante per il normale vivere quotidiano, del mal d’amore.

L’amore è il più sublime degli autoinganni: non c’è amore senza illusione ma l’amore non può continuare senza un minimo di delusione. Siamo sempre e costantemente vittime ed aguzzini allo stesso tempo. Ogni partner purtroppo è quello che è e non quello che vorremmo che fosse.

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