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psicologo | psicoterapeuta | trainer | coach strategico

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Tag: strategico

Pubblicato il 25 Settembre 201319 Febbraio 2022

DAP: disturbi attacchi di panico. Come superarli rapidamente

m.cristina.nardone

“Cari lettori di Mendi, procedendo nel nostro intento di fornire indicazioni utili e concrete ad ampliare le vostre capacità nel gestire complicate situazioni professionali o private, abbiamo pensato di addentrarci in quella parte del nostro lavoro dedicata alla soluzione di problemi invalidanti come è il DAP.
Definire chiaramente che cosa è utile sapere a riguardo delle patologie basate sulla paura è, dal nostro punto di vista, il primo fondamentale passo per dare un contributo davvero utile al lettore interessato, poiché, come vedremo nelle righe successive, sono diffuse tutte una serie di presunte conoscenze, ritenute dal senso comune utili, che non solo non servono ma il più delle volte sono fuorvianti e controproducenti, in quanto, invece, di aiutare a trovare soluzioni al problema conducono a ulteriori complicazioni.

Pertanto, nei paragrafi che seguono saranno esposte quelle forme di sapere, direttamente derivate dalla esperienza sia clinica che di ricerca applicata, che possono far chiara luce su quel complesso fenomeno psicologico, biologico e sociale che è la paura come patologia.
Del resto già Jiddu Krisnamurti affermava “la paura è la incertezza in cerca di sicurezza”.
La prima davvero importante forma di conoscenza che il lettore interessato deve fare sua, è il fatto che le patologie fobiche in tutte le loro forme, da singole paure a fobie generalizzate, possono essere curate e risolte efficacemente ed in tempi brevi.

Le ricerche-intervento svolte presso il Centro di Terapia Strategica sotto la direzione del prof. Nardone dimostrano ripetutamente come, mediante una forma di trattamento costruito ad hoc, l’88% dei casi di patologia fobica generalizzata sia stata risolta in una durata media di 7 sedute (2 o 3 mesi).
Addirittura per alcune forme di disturbo fobico, come agorafobia e attacchi di panico, si raggiunge il 95% dei casi risolti sempre nell’arco di pochi mesi.
Questi dati non vogliono certo essere, ancora una volta, un’esibizione delle capacità d’illustri studiosi e terapeuti, ma un’importante dichiarazione rivolta a chi sulla scia di credenze o peggio, mistificatorie pubblicazioni sul tema ritiene che sia impossibile guarire definitivamente dagli attacchi di panico o da un disturbo ossessivo-compulsivo, poiché tali false conoscenze conducono chi affetto da un tale tipo di disturbo, oltre tutto, alla disperata rassegnazione connotata dalla perdita della speranza di poter mai guarire e vivere libero dalle catene della paura.
Pertanto, rendere noto che la ricerca scientifica di tipo empirico-sperimentale in campo clinico, dimostra inequivocabilmente che è possibile guarire sia da singole paure, sia da disturbi fobici generalizzati, sgombra il campo dalla disperazione dell’impossibilità di cura ed apre a tutte le persone affette da tali patologie la possibilità di superare i limiti entro i quali la paura li blocca.

A tal riguardo, l’American Psycological Association nel suo ultimo rapporto relativo ai risultati delle terapie sui disturbi psichici e comportamentali (Hubble-Miller-Duncan,1999), riporta chiaramente come il 50% circa dei pazienti possa essere curato mediante terapie di durata tra 5 e 10 sedute (2-3 mesi); il 25% con terapie tra i 10 e 25 sedute (3-8 mesi); solo il rimanente 25% richiede terapie più estese nel tempo. Gli autori affermano con chiarezza che tali dati ufficiali non sono certo una presa di posizione a favore delle cosiddette “terapie brevi” ma, al di la delle pregiudiziali ideologiche e degli interessi corporativi, dichiarare come stanno i fatti reali.
Ciò sta a significare che la maggioranza delle patologie può essere curata rapidamente e non necessita, dunque, ne di psicoterapie che durano molti anni, ne di permanente dipendenza da psicofarmaci, ma di pragmatiche e chiare terapie psicologiche costruite a hoc. Questa ulteriore e netta dimostrazione apre quindi anche la possibilità, alla maggioranza delle persone affette da tali disturbi, di poter essere curate senza eccessivi costi economici ed esistenziali.
E’ bene chiarire, infatti, che il costo più alto pagato da una persona bloccata dalla paura, non è certo quello economico di una terapia, ma quello esistenziale, in quanto la sua vita è limitata e condizionata dalla paura.

Per esempio: una persona agorafobica che non è in grado, né di uscire da sola né di rimanere da sola, paga alla paura il tributo della propria possibilità di vivere; sulla stessa linea una persona ossessionata dall’avere una malattia, il cosiddetto ipocondriaco, non riesce a godersi nulla della sua esistenza perché è continuamente attanagliato dalla paura della malattia; cosiccome il soggetto costretto da una fobia a ripetere complicati rituali ossessivi spende la maggioranza del suo tempo a cercare di difendersi dalla fobia divenendo letteralmente schiavo delle sue ossessioni.
In tutte queste situazioni, la differenza tra la possibilità di essere curati efficacemente in tempi lunghi o in tempi brevi risiede nella qualità della vita vissuta da tali soggetti.
Purtroppo, per decenni gli studiosi di terapie della mente hanno sottovalutato l’importanza dell’efficienza di un intervento terapeutico, mentre, tale caratteristica fa sì che un intervento efficace sia ancor più valido, sul piano del successo terapeutico, in quanto rende quanto prima alla persona trattata la libertà di godersi la vita.

LA PRIMA UTILE CONOSCENZA PER CHI HA PROBLEMI RELATIVI A PAURE, PANICO E FOBIE, PERTANTO, PUÒ ESSERE RIASSUNTA CON L’AFORISMA DI HONORÉ DE BALZAC “LA RASSEGNAZIONE È UN SUICIDIO QUOTIDIANO”, E CON LA CITAZIONE DI SHAKESPEARE “NON ESISTE NOTTE CHE NON VEDA IL GIORNO”.

Ma chi soffre di DAP? la paura è alquanto democratica…. Stephen King ha il terrore del buio. Uma Thurman non riesce a salire in ascensore. A Nicole Kidman fanno paura le farfalle, a Scarlett Johansson gli scarafaggi. C’è poi chi, come l’attrice Christina Ricci, teme l’arrivo di uno squalo anche durante una nuotata in piscina.
O chi, come Orlando Bloom, ha così paura del progresso tecnologico che non riesce ad avvicinarsi a un pc. Tutte fobie. Assurde, irrazionali, incontrollabili. Sono più di 500 quelle studiate dai medici con cui dobbiamo fare i conti ogni giorno.
Colpiscono i vip, ma anche i comuni mortali: «Ben 6,7 milioni di persone ne soffrono in Europa e, almeno un italiano su cinque» in base alle ultime stime elaborate dal Centro di Terapia Strategica di Arezzo diretto da Giorgio Nardone.
(Fine prima parte, la seconda ed ultima parte nella prossima edizione di Mendi)”

M. CRISTINA NARDONE & DR.SSA SUSANNA SCARTONI

Per saperne di più sull’argomento si rimanda il lettore ai libri:
– Oltre i limiti della paura, Rizzoli ed.
– Non c’è notte che non veda il giorno, Nardone G., TEA ed.

file pdf: DAP: disturbi attacchi di panico. Come superarli rapidamente

Pubblicato il 23 Gennaio 201319 Febbraio 2022

DIZIONARIO INTERNAZIONALE DI PSICOTERAPIA

Dizionario Internazionale di Psicoterapia
Dizionario Internazionale di Psicoterapia

«Nulla esiste che non possa essere curato con le parole.»
Antifonte
Questo Dizionario internazionale di psicoterapia è il primo tentativo di sistematizzazione dell’ampia materia delle problematiche psicologiche. Frutto del lavoro di un team di oltre 360 esperti italiani e stranieri, l’opera raccoglie le diverse scuole di psicologia e psicoterapia, tracciandone il profilo storico e sottolineando i punti di forza delle varie terapie.
Una raccolta completa di termini, temi, problematiche e tecniche della cura psicoterapica.

Più di 900 voci e approfondimenti completi dei paradigmi e dei concetti chiave della psicoterapia

una voce dall’Opera:
PROTOCOLLO DI TRATTAMENTO STRATEGICO
In psicoterapia breve strategica modello Nardone, modello di intervento clinico, specifico per un determinato tipo di disturbo, composto da > strategie e tecniche specifiche, organizzate in una sequenza progressiva di stadi terapeutici (> fasi della psicoterapia) con peculiari obiettivi da raggiungere. La formulazione dei protocolli di trattamento rappresenta il passaggio dalla teoria generale sulla formazione e sulla soluzione dei problemi elaborata presso > il Mental Research Institut (MRI) di Palo Alto (> psicoterapia breve modello MRI) a formulazioni specifiche relative al funzionamento di particolari patologie psicologiche e della loro soluzione in tempi brevi. I protocolli di intervento sono infatti costituiti da una sequenza pianificata di procedure tecniche in grado di adattarsi e autocorreggersi (> autocorrettività) sulla base dell’evolversi dell’intervento stesso in modo che l’azione terapeutica presenti sistematicità e rigore a livello di struttura, ma anche flessibilità ed elasticità a livello di applicazione diretta. La loro messa a punto presso il Centro di Terapia Strategica di Arezzo, a opera di Nardone e dei suoi collaboratori, è iniziata studiando una prima casistica (i disturbi fobico-ossessivi) e sperimentando empiricamente in maniera sistematica e rigorosa quali interventi producessero effetti e quali fossero le > tentate soluzioni ridondanti che venivano infrante. A questa prima > ricerca-intervento, ne sono seguite altre su altri tipi di disturbi, come quelli alimentari, sessuali, depressivi e il disturbo post-traumatico da stress. Durante la costruzione di un protocollo di trattamento, una volta abolite le tecniche meno efficaci, vengono selezionate quelle dimostratesi capaci di produrre effettivi cambiamenti e ne vengono messe a punto altre ex novo. Nel momento in cui una soluzione “calza” al problema e produce effettivi risultati, si cerca di adattarla e ripeterla su un numero più elevato di casi. Solo le tecniche che continuano a produrre cambiamenti, quando replicate su più problemi dello stesso tipo, vengono considerate empiricamente efficaci. Con questo metodo, a poco a poco si cerca di selezionare le tecniche più adatte per i particolari tipi di problemi, mettendole all’interno di una sequenza prefissata e ipotizzando possibili varianti, in modo tale da ottimizzare al massimo l’> efficacia e l’> efficienza dell’intervento, facendolo letteralmente “calzare” al problema. Gradualmente, per affinamenti e addizione di varie manovre, e “scremature” successive, si giunge alla costruzione di una prima, ordinata sequenza di possibili mosse e contromosse: una strategia. Questa strategia rappresenta il protocollo di trattamento del particolare disturbo studiato. Per essere ritenuto valido, un protocollo di trattamento strategico deve presentare particolari caratteristiche: efficacia superiore al 70%, efficienza media inferiore alle 20 sedute, > replicabilità, > trasmissibilità, > predittività e autocorrettività. Quest’ultima caratteristica è garanzia della salvaguardia dell’unicità dell’individuo e fa sì che i protocolli prevedano delle possibili varianti. Sulla base delle singole risposte del paziente alle prescrizioni, infatti, il terapeuta sceglie sempre la via più proficua tra alcune possibili: è sempre il modo in cui il paziente reagisce a guidare la scelta tra varie opzioni di mosse successive. Un secondo principio di autocorrezione completa e amplia il primo: la capacità del terapeuta di cambiare strategia quando quella applicata non funziona. Un protocollo di trattamento rappresenta quindi un modello di > problem-solving costruito ad hoc per > patterns ridondanti a livello di struttura del problema, che però necessita sempre di essere adattato alla irripetibilità di ogni singola persona e contesto. In virtù del suo essere predittivo, ossia capace di anticipare le possibili evoluzioni dell’interazione terapeutica, il protocollo permette così una costante e continua autocorrezione del modello di intervento sulla base degli effetti rilevati fase per fase. [F. Cagnoni, R. Milanese]

BIBLIOGRAFIA. Cagnoni F., Milanese R, Cambiare il passato, 2009; Muriana E., Pettenò L., Verbitz T., I volti della depressione, 2006; Nardone G., Paura, panico, fobie, 1993; Id., La dieta paradossale, 2007; Nardone G., Rampin M., La mente contro la natura, 2005; Nardone G., Verbitz T., Milanese R., Le prigioni del cibo, 1999; Nardone G., Watzlawick P, L’arte del cambiamento, 1990; Watzlawick, P., Weakland, J.H., Fisch, R. Change: Principles of Problem Formation and Problem Resolution, 1974.

Da http://www.facebook.com/pages/Centro-di-Terapia-StrategicaScuola/122043027872629

Pubblicato il 16 Novembre 201219 Febbraio 2022

AIUTARE I GENITORI AD AIUTARE I FIGLI

Problemi e soluzioni per il ciclo di vita

Probabilmente sono pochissimi i genitori che non hanno mai dovuto affrontare problemi grandi o piccoli con i propri figli, a tutte le età. Chi non ha mai avuto a che fare con le difficoltà dei primi mesi di vita del neonato, con un bambino introverso o troppo vivace, con un adolescente problematico? Negli ultimi anni si è assistito a un interesse crescente per lo studio delle dinamiche familiari, con un’applicazione sempre più ampia di interventi e psicoterapie strategiche che coinvolgono non solo il paziente di volta in volta «designato», ma anche i genitori. È proprio a loro che è destinato il testo, un vero e proprio quick reference text, ossia un manuale di pronta e chiara consultazione: all’illustrazione del problema o della patologia si associano modalità concrete di soluzione e numerosi esempi tratti dalla casistica clinica. L’aspetto più innovativo riguarda la terapia indiretta: i genitori, assumendo il ruolo decisivo di «coterapeuti», diventano i primi veri «specialisti» a cui i figli dovrebbero affidarsi.
Gli autori intendono così «aiutare i genitori ad aiutare i figli», modificandone gli atteggiamenti controproducenti e permettendo loro di intervenire direttamente sulle realtà disfunzionali, giocando sulla centralità degli aspetti comunicativi e relazionali. I risultati di tale lavoro, estremamente variegato ma riassunto con grande precisione ed efficacia in queste pagine, hanno permesso di mettere a punto strategie differenziate e specifiche per ciascuna realtà familiare, fascia d’età e obiettivo terapeutico: come è tipico dell’approccio strategico, non è tramite l’osservazione asettica e l’estrapolazione epidemiologica dei dati che si giunge alla definizione del trattamento, ma «solo le soluzioni che funzionano possono spiegare il funzionamento dei problemi che hanno risolto».

Pubblicato il 2 Luglio 201219 Febbraio 2022

L’AZIENDA VINCENTE

Il sistema azienda rappresenta una «qualità emergente» in grado di essere efficace per i suoi scopi solo se funziona armonicamente.
Tale condizione inevitabilmente viene creata e alimentata dalle relazioni tra gli esseri umani che vivono e che agiscono al suo interno: anche quando può sembrare che la complessità dell’organizzazione li travalichi, sono sempre e comunque gli individui e la loro cooperazione a costruire il successo o l’insuccesso di un’azienda.
Trattare di questo significa focalizzarsi sul fattore umano che crea, nutre e talvolta avvelena o distrugge l’organizzazione produttiva, con lo scopo di risvegliare l’attenzione sulle capacità dell’individuo e dei gruppi di persone all’interno di quell’organismo vivente che è l’azienda, in modo da sospingerne l’anelito vitale.
L’azienda che funziona come il migliore dei velieri sa catturare e farsi sospingere dai venti interni ed esterni alla sua organizzazione facendo sì che ogni singola componente dell’equipaggio si senta artefice del successo.

Da Nardone libri, collana, saggi.

IN ANTEPRIMA IL PRIMO CAPITOLO

Capitolo 1
PROBLEM SOLVING STRATEGICO: IL RASOIO DI OCCAM DELLA CONSULENZA E DELLA FORMAZIONE

Ogni teoria razionale, non importa se scientifica o filosofica, è tale nella misura in cui cerca di risolvere determinati problemi.
KARL POPPER, Breviario

«Tutto ciò che si può con poco, invano viene fatto con molto»: ecco la folgorante formulazione di Guglielmo di Occam del suo celebre «rasoio», principio metodologico con cui il filosofo intendeva evidenziare i limiti e i pericoli dell’assunzione, di fronte alle problematiche umane, di visioni idealistiche e metodologie iper-razionali che prevedano complicati processi di ragionamento. La metafora del rasoio, infatti, suggerisce l’idea che dal punto di vista metodologico sia opportuno eliminare, con tagli di lama e mediante approssimazioni successive, le ipotesi più complicate.
Il rasoio di Occam rappresenta uno dei principi cardine del problem solver strategico: l’idea cioè che si possa ottenere la soluzione di problemi anche estremamente complessi mediante una procedura semplice ed economica, cercando di ridurre al minimo i «costi» esistenziali e materiali per la persona o l’organizzazione.
Prima di passare all’esposizione dettagliata degli interventi realizzati attraverso i case history commentati, verrà offerta qui una presentazione sintetica del nostro modello sotto forma di «istruzioni per l’uso», rimandando ad altri testi per gli ulteriori approfondimenti teorici e tecnici (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, 2000; è OK si RIFERISCE a“la terapia azienda malata]; Milanese, Mordazzi, 2007; Nardone, 2009).

Sequenza riassuntiva delle fasi del problem solving strategico (PPS)

PROBLEMA/OBIETTIVO

DEFINIRE IL PROBLEMA
Cosa è effettivamente il problema, chi ne è coinvolto, dove si esprime, quando appare, come funziona. Dare una descrizione il più dettagliata possibile, in termini logici e analogici, in modo tale da «partire dopo per arrivare prima».

ACCORDARE L’OBIETTIVO
Una volta definito il problema, si descrivono i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, porterebbero ad affermare che il problema è risolto. Ovvero, si definisce l’obiettivo da raggiungere, in termini sia logici che analogici. Questo è il secondo passo di un processo di problem solving strategico.

ANALISI E VALUTAZIONE DELLE TENTATE SOLUZIONI
La terza fase è rappresentata dall’individuazione e valutazione di tutti i tentativi fallimentari messi in atto finora per risolvere il problema in questione. Questa è la fase cruciale di studio della soluzione che parte, non a caso, dalla valutazione di tutte quelle già tentate ma che non hanno avuto successo. Si tratta del costrutto centrale del PSS, quello di tentata soluzione che, se non funziona ma viene reiterata nel tempo, tende a mantenere il problema e a complicarne il funzionamento.

TECNICA DEL COME PEGGIORARE
Una volta individuate le tentate soluzioni, si procede ponendosi la seguente domanda: «Se io volessi volontariamente e deliberatamente far peggiorare la mia situazione anziché migliorarla, cosa potrei fare o non fare? Cosa potrei pensare o non pensare? Quali sarebbero tutti i metodi o le strategie che, se adottate, porterebbero a un sicuro fallimento nel mio progetto?»
Questa tecnica si ispira all’antico stratagemma cinese: Se vuoi drizzare una cosa, impara prima come storcerla di più.

TECNICA DELLO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA
Oltre alla tecnica presentata, per essere ancora più concretamente focalizzati sull’obiettivo da raggiungere abbiamo formalizzato un’altra tecnica innovativa: immaginare lo scenario ideale al di là del problema.
Si tratta di domandarsi quale sarebbe lo scenario, riguardo alla situazione da cambiare, una volta che il problema fosse completamente risolto o, nel caso di miglioramenti da ottenere, che l’obiettivo fosse completamente raggiunto. In altri termini, la persona deve immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.

TECNICA DELLO SCALATORE
Di fronte a un problema complesso da risolvere, al fine di costruire una strategia efficiente oltre che efficace, risulta utile partire dall’obiettivo da raggiungere e immaginare lo stadio immediatamente precedente, poi lo stadio precedente a quest’ultimo, sino a giungere al punto di partenza: in questo modo si suddivide il percorso in una serie successiva di micro-obiettivi che tuttavia prendono avvio dal punto d’arrivo per risalire al primo passo da compiere. Questa strategia mentale apparentemente controintuitiva permette di costruire agevolmente la sequenza di azioni da realizzare per risolvere il problema, partendo dal più piccolo ma concreto cambiamento possibile.

AGGIUSTARE IL TIRO PROGRESSIVAMENTE
Talvolta i problemi sono così complessi da richiedere non una sola soluzione, ma una sequenza di soluzioni. Come nel gioco delle scatole cinesi o delle matrioske russe, aperta la prima se ne trova un’altra al suo interno, dentro la quale ce n’è un’altra ancora e così di seguito fino all’ultima. Di fronte a situazioni di questo tipo è fondamentale evitare di voler affrontare insieme tutti i problemi, iniziando invece dal più accessibile. Una volta risolto il primo problema si passa al secondo e così via, senza mai perdere però la visione d’insieme e delle interazioni possibili tra le concatenazioni di problemi.

SOLUZIONE

Per definizione il PSS può essere applicato a qualunque tipologia di problema e ad ambiti decisamente diversi fra loro, tra i quali persino quello della ricerca empirica. Quest’ultima ha infatti costituito il fondamento metodologico per la messa a punto delle numerose forme specifiche di intervento terapeutico e di comunicazione strategica sviluppate presso il nostro Centro e applicate con successo a migliaia di casi clinici e a centinaia di casi manageriali.
Tale logica si differenzia dalle logiche tradizionali per la sua caratteristica di mettere a punto le tecniche di intervento sulla base degli obiettivi prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema affrontato, piuttosto che sulla base di una rigida teoria precostituita da rispettare. Nell’approccio strategico evoluto, infatti, il presupposto fondamentale è la rinuncia di qualsiasi teoria forte che stabilisca a priori la strategia di intervento. Da questa prospettiva è sempre la soluzione che si adatta al problema e non viceversa, come avviene nella maggioranza dei modelli di intervento tradizionali.
Al problem solver strategico non interessa conoscere le verità profonde e il perché delle cose, ma solo «come» farle funzionare nel modo migliore possibile. La sua prima preoccupazione è quella di adattare le proprie conoscenze alle «realtà» parziali che si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate sugli obiettivi da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo, all’evolversi della «realtà» su cui si interviene.
Abbandonando la rassicurante tesi positivista di una conoscenza «scientificamente vera», nell’intervento strategico ci si occupa, infatti, di individuare i modi più «funzionali» di conoscere e agire, ovvero di condurre l’individuo alla «consapevolezza operativa». Ciò significa lasciare in secondo piano la ricerca delle cause degli eventi, per concentrarsi sullo sviluppo di una sempre maggiore capacità di gestire strategicamente la realtà che ci circonda e raggiungere così i propri obiettivi: saranno proprio le soluzioni efficaci a spiegare le matrici dei problemi risolti.
Pertanto la domanda sul «perché» viene sostituita con quella sul «come funziona». Chiedendosi «come funziona» una certa situazione, infatti, si evita di andare alla ricerca delle cause e dei «colpevoli», focalizzandosi, invece, sulle modalità che mantengono un determinato equilibrio e su come questo possa essere modificato. Ciò significa orientare l’osservazione sulla persistenza di un problema piuttosto che sulla sua formazione: infatti è solo sulla persistenza di un problema che si può intervenire. Chiedersi «come funziona» orienta l’indagine sulla ricerca del cambiamento nel presente, mentre domandarsi «perché» conduce a ricercare le spiegazioni in un passato che in ogni caso non può comunque cambiato.
Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti di studio, il problem solver strategico deve avere a disposizione un «riduttore di complessità» che gli consenta di cominciare a intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così, progressivamente, la modalità di funzionamento. Tale riduttore è stato individuato nel costrutto di «tentata soluzione».
Come indica il filoso della scienza Karl Popper (1972, 1976), quando si inciampa su un problema, per economia mentale si tende a far ricorso all’esperienza riproponendo interventi risolutivi che in passato hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte all’insuccesso di tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione alternative, si tende ad applicare con maggior vigore la strategia iniziale, nell’illusione che fare «più di prima» la renderà efficace. Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona nel presente, ma che aveva funzionato nel passato, alla fine innescano un complesso processo di retroazioni in cui sono proprio gli sforzi in direzione del cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata o a complicarla ulteriormente. Da questo punto di vista possiamo affermare che le «tentate soluzioni diventano il problema» (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). Pertanto è lo studio delle soluzioni applicate che ci fa conoscere il problema e le sue modalità di persistenza, ovvero come questo si alimenta grazie agli effetti dei tentativi disfunzionali di risolverlo. Con le parole di Giorgio Nardone: «Si conosce un problema attraverso la sua soluzione» (Nardone, Portelli, 2005).
Quando un sistema si trova in questa situazione è invischiato in un «gioco senza fine»: il sistema stesso e i suoi componenti sono parte attiva del problema e solo un cambiamento introdotto dell’esterno, che guidi a modificare il modello disfunzionale, rappresenta una soluzione concreta al problema.
La prima cosa che il problem solver dovrà fare, quindi, sarà individuare le «tentate soluzioni» che il sistema e gli individui implicati hanno messo in atto finora per raggiungere un dato obiettivo o per modificare una situazione ritenuta disfunzionale. L’intervento strategico si occuperà di rompere, nel modo più efficace e rapido possibile, il meccanismo autopoietico stabilitosi tra le tentate soluzioni e la persistenza di un equilibrio disfunzionale, per poi condurre alla costruzione di un nuovo equilibrio persistente funzionale.
Nei capitoli che seguono cercheremo di rendere il più chiaro e concreto possibile ciò che è stato qui esposto in maniera schematica. Ma prima di procedere ci sembra cruciale mettere in risalto il fatto che, per applicare con efficacia il modello di PSS, è necessario non solo il «sapere», bensì anche il «saper fare», ovvero la capacità di comunicare agli altri e a se stessi consentendo di evadere dalla trappola degli schemi mentali e comportamentali.
Per questa ragione nel testo sarà data ampia spiegazione anche della comunicazione strategica.

PROBLEM SOLVING STRATEGICO
+
COMUNICAZIONE STRATEGICA

Logica di problem solving e comunicazione rappresentano le due anime dell’approccio strategico; non può esistere problem solving strategico senza una comunicazione strategica, e viceversa. Poiché il primo rappresenta il metodo che guida l’intervento, la seconda è il veicolo che ne permette l’applicazione. Il linguaggio, i gesti e le azioni, sono il bisturi del problem solver che, se usato con precisione chirurgica, può condurre a esiti straordinari; viceversa, se usato senza maestria non sarà possibile operare alcun cambiamento chirurgico.

http://www.ponteallegrazie.it/scheda.asp?editore=Ponte+alle+Grazie&idlibro=7558&titolo=L%27AZIENDA+VINCENTE

Casa editrice Ponte Alle Grazie
www.ponteallegrazie.it
Pubblicato il 24 Maggio 201219 Febbraio 2022

GIORGIO NARDONE E PAUL WATZLAWICK

Da Giorgio Nardone’s Fan Page
G Nardone e P. Watzlawick (5 foto)

N e W

Paul Watzlawick ha attraversato come una stella cometa la seconda metà del secolo scorso, illuminando con le sue idee, il suo lavoro e i suoi scritti intere generazioni di studiosi e professionisti, non solo nelle aree della psicologia, della psichiatria e della sociologia ma anche in campi lontani dalle scienze umane come l’economia e l’ingegneria o nelle scienze «pure» come la fisica e la biologia. I suoi studi sulla comunicazione e sul cambiamento travalicano, infatti, le barriere disciplinari e trovano applicazione in qualunque contesto ove siano coinvolte le relazioni dell’individuo con se stesso, con gli altri e con il mondo. La sua opera, come quella dei grandi filosofi, non si lascia limitare né dalle ideologie, né dai confini delle singole prospettive scientifiche: essa va oltre, sino alla radice del «come» l’essere umano costruisce, anzi, per dirla con le sue parole, inventa la sua realtà. Sulla scia della sua luminosa stella, numerosi sono i pensatori e i professionisti che hanno avuto la possibilità di costruire il loro successo e la loro fama. Basti pensare che Watzlawick è l’unico autore tradotto in ottanta lingue differenti. La cosiddetta scuola di Palo Alto non sarebbe esistita senza la sua imponente figura e la sua capacità di sintetizzare il lavoro di eminenti studiosi, come Gregory Bateson o Don D. Jackson e Milton Erickson, in un unico e rigoroso modello teorico e applicativo. D’altronde, per fare solo qualche esempio, il padre del costruttivismo Hein Von Foerster, amava dichiarare di essere una invenzione di Paul Watzlawick, nel senso che egli, senza il suo aiuto, non sarebbe diventato così noto e i suoi lavori non sarebbero stati così conosciuti. Lo stesso vale per Mara Selvini Palazzoli e la scuola di Milano di terapia sistemica, che devono a lui non solo l’ispirazione tecnica ma anche la diffusione nel mondo del loro lavoro. Nella stessa maniera tutti coloro che si sono inseriti nella scia della cometa Watzlawick hanno potuto riflettere grazie alla sua luce e, spesso, senza nessun contatto diretto con lui. Era infatti sufficiente dichiarare di riferirsi alla scuola di Palo Alto per acquisire status di rispettabilità scientifica e professionale. Tutto ciò vale anche per me poiché senza di lui probabilmente pochi avrebbero conosciuto il mio lavoro. Invece, grazie al libro L’arte del cambiamento scritto a quattro mani, mi sono ritrovato immediatamente sulla ribalta internazionale. Il nostro Centro di Terapia Strategica di Arezzo se non fosse stato fondato con la sua attiva presenza non sarebbe mai divenuto il punto di riferimento per l’evoluzione della terapia breve e il problem solving strategico. Ad ulteriore prova della grandezza della sua opera si pensi che Paul Watzlawick rappresenta anche uno degli autori più copiati: c’è stato anche chi, dopo averne copiato intere pagine per un suo articolo, senza ovviamente citare la fonte, è in seguito divenuto uno dei suoi più acerrimi detrattori. Paul, essendo una persona tollerante e sempre capace di evitare conflitti – anche quando potevano apparire legittimi – in questo caso e in altri, invece di denunciare e svergognare pubblicamente il collega scorretto, semplicemente ha fatto notare direttamente e con stile la mala azione al colpevole, senza andare oltre. Il lettore può ben capire come voler sottolineare la rilevanza del contributo di quest’autore e pensatore richiederebbe un intero volume, inoltre i suo testi parlano del suo lavoro meglio di come potrebbe fare chiunque altro. Per questo ho deciso di concludere questo commento finale ai suoi scritti selezionati in maniera non accademica ma personale. Ritengo che, avendo avuto l’onore e il piacere di condividere con Paul oltre quindici anni di collaborazione professionale e anche di relazione personale (insieme abbiamo tenuto oltre cinquanta workshop e conferenze in giro per il mondo, abbiamo scritto tre libri e contribuito ad altri due insieme agli amici Jeffrey Zeig e Camillo Loriedo) sia bello offrire al lettore, oltre alla sua opera, qualche aneddoto che pennelli la sua persona. Egli, infatti, è stato non solo un Maestro di scienza e professione bensì anche un modello di stile e filosofia di vita. Paul era un uomo di bella presenza, sobriamente elegante e capace di una sottile ironia, tanto irresistibilmente simpatico agli uomini quanto affascinante per le donne. Mai esibiva la sua condizione disponendosi umilmente con chiunque, con l’atteggiamento di chi è sempre pronto ad imparare qualcosa in più. Capace nelle relazioni interpersonali del gelo più rabbrividente così come del calore più confortante, ma sempre con stile impareggiabile. Una volta, alla Sorbona di Parigi, durante una conferenza, un partecipante lo interruppe aggredendolo verbalmente perché le sue teorie andavano contro i fondamenti della psichiatria e della psicoanalisi. Egli, con estrema pacatezza gli rispose: « lei ha perfettamente ragione… dal suo punto di vista… »-, poi continuò a parlare tra gli applausi e il sorriso del pubblico. In un’altra occasione lo osservai dare del cibo «rubato in hotel» ai gatti randagi di una calle veneziana, lasciava che si avvicinassero come se fossero amici di un’altra vita. Giunti a Bologna da Roma a bordo della mia auto, Paul commentò la mia guida ironicamente, dichiarando che l’Italia doveva essersi accorciata. Giunti all’hotel che si chiamava «I tre vecchi » mi chiese dove fossero gli altri due. La sua ironia fu forse ancor più proverbiale: eravamo in attesa delle valigie all’aeroporto di Siviglia, la sua arrivò per prima e, ovviamente, la mia per ultima. Durante la tediosa attesa, sul nastro passò una valigia gigantesca ed egli commentò «è decisamente molto comoda perché se non trovi una camera in albergo puoi dormirci dentro». Le sue attenzioni nei confronti delle persone a lui care non erano mai ostentate ma così delicate e puntuali da stupire ogni volta. Pronto a cogliere la bellezza in ogni sua forma, dai colori delle colline toscane in primavera al fascino tremendo dei grattacieli sulla baia di Hong Kong al tramonto; dal rumore ancestrale delle onde del pacifico di Carmel alla musica sublime di Rachmaninov. Infine, uno degli episodi che può descrivere al meglio la sua personalità e il suo stile è rappresentato da un sottile quanto potente insegnamento impartitomi molti anni fa durante un importante convegno. In questa occasione, per la prima volta dovevo presentare il metodo di terapia breve, messo a punto sotto la sua supervisione, per il trattamento dei disturbi fobico- ossessivi; per di più dovevo farlo di fronte a un’assise composta dai più importanti studiosi e specialisti del settore. Ossessivamente avevo preparato la mia esposizione, riservando lo spazio alla dissertazione teorica, alla presentazione dei dati empirici e alla pratica clinica mediante delle videoregistrazioni che dimostrassero la reale efficacia della terapia anche a un pubblico di scettici ricercatori e colleghi. Sfortunatamente il tecnico video e audio della sala, nel provare il mio video, per errore ne aveva cancellato il contenuto. Mi accorsi di tutto ciò poco prima di cominciare la mia relazione. Come il lettore può ben capire non ero solo seccato e allibito per l’accaduto ma anche frustrato e piuttosto depresso prevedendo il sicuro insuccesso. Procedetti nella mia presentazione in maniera decisamente meno assertiva del solito e quando giunsi alla parte dimostrativa della tecnica, mi scusai con l’uditorio per il problema sopraggiunto: recitai, invece che mostrare il video, le trascrizioni, dichiarando i loro effetti. In maniera totalmente contraria alle mie previsioni il pubblico fu entusiasta e molte furono le dichiarazioni di apprezzamento per il lavoro presentato. Paul, che tutto aveva osservato dal fondo della grande sala, si avvicinò a me e battendomi un mano sulla spalla disse: «finalmente oltre che bravo sei apparso umile e simpatico…» Oggi tutti hanno apprezzato la tua «debolezza» ed il tuo «errore»… Mai ho dimenticato questa sua lezione. Oggi, a pochi giorni dalla sua morte, scrivendo queste righe sento ancor più la sua mancanza. Tuttavia sono contento perché, oltre a una vita intensa e piena di bellezza, egli ha avuto una morte felice accanto alla sua amata Vera. Ritengo che in questo caso valga davvero la seguente citazione: «quando perdi una persona davvero importante, piuttosto che pensare alla sfortuna di averla perduta pensa alla fortuna di averla avuta ». Arezzo, aprile 2007 Giorgio Nardone

Da Giorgio Nardone’s Fan Page
Pubblicato il 24 Maggio 201219 Febbraio 2022

RISORGERE E VINCERE


Una storia di talento, tecnica e strategie mentali
Aldo Montano – Giorgio Nardone – Giovanni Sirovich

Trionfare alle Olimpiadi non è cosa da tutti. Ma affrontare una crisi durissima e risorgere ai massimi livelli nonostante gli infortuni è forse un’avventura irripetibile per uno sportivo. Il protagonista di questa impresa è Aldo Montano, campione indiscusso della scherma italiana e internazionale degli ultimi anni. È una storia di rivalsa, di vittorie, costellata anche di profondi timori e delusioni, che culmina con l’esaltante conquista che ha portato Montano sul gradino più alto del podio ai Campionati mondiali di Catania del 2011. Il racconto è una cronaca sportiva avvincente, e insieme un moderno romanzo di cappa e spada – incruento e spesso ironico – raccontato da un punto di vista privilegiato, «dietro le quinte», dalle voci dei tre personaggi: il campione Aldo Montano, il commissario tecnico della nazionale di sciabola Giovanni Sirovich e Giorgio Nardone, «psicologo e stratega».
Rispettivamente talento, tecnica e forza della mente: al di là delle doti naturali e della potenza muscolare dell’atleta, la performance richiede modelli percettivi e reattivi elevatissimi, in cui la tecnica si fa fluida, spontanea, fino alla «trance agonistica». Così il Problem Solving Strategico, l’ipnosi e gli stratagemmi suggeriti diventano strumenti altamente efficaci a disposizione dello sportivo – e determinanti nel caso di Montano. Il testo, infatti, rappresenta anche una sorta di manuale di scienza della performance. Ma l’autentica bellezza di queste pagine, la loro profonda umanità, è che può riguardare tutti noi da vicino, e insegnarci che il coraggio e il sacrificio sono risorse insostituibili in qualunque situazione.

UN BRANO
“Una metafora evocativa di come ogni individuo dovrebbe agire in vista degli obiettivi esistenziali o professionali: mai farsi scoraggiare dagli ostacoli e dalle avversità del destino, anche quando questo richiede sforzi erculei e sacrifici estremi, così come l’umiltà di mettere in discussione le proprie idee e azioni, sino a sconvolgerle, se necessario. Al di là della vicenda sportiva, questa storia rappresenta una lezione di vita bella e profondamente educativa.”

Pubblicato il 13 Aprile 201219 Febbraio 2022

I DIECI COMANDAMENTI (anteprima)

I DIECI COMANDAMENTI DELLA COPPIA il nuovo libro ..eccone alcuni in anteprima….

DIECI COMANDAMENTI PER SEDURRE IL PARTNER

1. Proprio come in tutte le specie monogame, che durante la stagione degli accoppiamenti ripetono rituali di corteggiamento, anche nelle coppie umane che godono di stabilità è possibile constatare, per tutta la durata della relazione, rituali ricorrenti di seduzione. La seduzione reciproca è un processo circolare di feedback che rappresenta la linfa vitale della coppia.
2. Se desiderate essere sedotti, siate i primi a sedurre. Se amate essere corteggiati, siate i primi a corteggiare il vostro partner. Mai aspettare che sia l’amore ad arrivare a voi; siate i primi ad accenderne la fiamma.
3. La seduzione mai dev’essere un agire diretto, ma una forma di comunicazione indiretta. Mai è una richiesta esplicita di amore o di sesso, ma un insieme di suggestioni in grado di evocare sensazioni nel partner. La seduzione è linguaggio performativo.
4. Per sedurre è necessario comunicare in modo ambivalente: il linguaggio della seduzione è radicalmente diverso da quello informativo, in cui coerenza e congruenza sono essenziali. Gli ingredienti principali della seduzione sono i messaggi ambigui, le allusioni e l’evocare sensazioni.
5. Proprio come avviene quando si danza con il partner, nel sedurre la più stretta vicinanza si alterna a movimenti di allontanamento. Mai mantenere la stessa modalità di contatto nel tempo nel tempo poiché anche lo stimolo più piacevole, se reso persistente perde di impatto.
6. Nel sedurre il partner mai dimenticate che il linguaggio non verbale e para-verbale è più efficace di quello verbale; giocate con il partner scambiandovi sguardi, sorrisi, ammiccamenti: costruite e mantenete una complicità reciproca.
7. Ricordate che una persona seduttiva mai usa il sarcasmo ma l’ironia e lo fa in primo luogo nei confronti di se stessa, sottolineando le proprie debolezze.
8. Ricordate sempre di curare il vostro aspetto e il modo in cui vi presentate: è il modo migliore per indurre il partner a fare lo stesso.
9. La seduzione è veramente efficace se sa far credere al partner che per voi è la persona più desiderabile al mondo.
10. Mai lasciare calare il sole sulla rabbia o ostilità verso il vostro partner. Fate in modo che ogni giorno si chiuda nel segno di un gesto intimo e affettuoso nei confronti della persona amata.

Pubblicato il 13 Aprile 201219 Febbraio 2022

Indirizzo You Tube CTS Arezzo

http://www.youtube.com/user/stcchangestrategies

[youtube=http://www.youtube.com/watch?v=rVzbv84Ns18&w=560&h=315]

Scuola di Specializzazione in Psicoterapia Breve Strategic…

Presentazione di Giorgio Nardone e M. Cristina Nardone della Scuola di Specializzazione Quadriennale in Psicoterapia Breve Strategica.

Sito: http://www.psicoterapiabrev…

Il (CTS) Centro di Terapia Strategica, oggi Scuola quadriennale e riconosciuta dal M.I.U.R. è stato fondato nel 1987 per volontà di Giorgio Nardone e Paul Watzlawick, con l’intento di evolvere l’approccio alla psicoterapia della cosiddetta Scuola di Palo Alto in direzione della formulazione di un modello ancor più efficace ed efficiente, in grado anche di essere applicato in maniera specifica alle differenti varianti di psicopatologia dando origine così allo sviluppo di un progetto di ricerca basato, non sulla psichiatria, ma sulla tradizione della filosofia della scienza, della logica e dello studio della comunicazione.

Da allora tanta strada è stata percorsa, oltre 30 sono i progetti realizzati di protocolli terapeutici e oltre 40 strategie e stratagemmi terapeutici costruiti ad hoc per differenti tipi di disturbo applicati con successo a decine di migliaia di pazienti.

http://www.youtube.com/watch?v=rVzbv84Ns18&feature=player_profilepage

Pubblicato il 13 Aprile 201219 Febbraio 2022

I DIECI COMANDAMENTI DELLA COPPIA

Formare e mantenere una coppia è uno degli obiettivi più importanti nella vita.
Fermatevi un momento e cercate di ricordare le massime che sono secondo voi state importanti, quelle che vi hanno cambiato la vita.
Forse ci sono state volte in cui vi siete fatti forza con proverbi come: « Un lungo cammino inizia sempre da un piccolo passo » o magari con il classico motto di famiglia, tipo: « In mezzo alle diffi coltà si cela l’opportunità », oppure: « Dovere è potere ».
Le massime, talvolta, offrono conforto: « Dio non vi dà pesi maggiori di quelli che potete sopportare », oppure vi guidano nelle relazioni interpersonali: « Non fare agli altri ciò che non vorresti fosse fatto a te ». Una massima può mutare all’improvviso le idee e il comportamento delle persone e, di conseguenza, modifi carne il rapporto con il mondo.

Mentre trascorrete la giornata e pensate alle massime che vi guidano, forse vi sorprenderebbe scoprire quanto di ciò che fate e pensate è determinato da questi punti cardinali interni. Le massime ci danno una sensazione di sicurezza e di conforto.
Spesso questi detti si trasformano in valori, e creano l’invisibile ossatura della nostra identità sociale. Una volta cristallizzate in una serie di comandamenti personali, le massime ci permettono di appianare, risolvere le complessità della vita quotidiana.
Conosciamo tutti molto bene le verità rivelate dei Dieci Comandamenti, leggi fondamentali dell’esistenza, che ci forniscono indicazioni interiorizzabili per aiutarci a percorrere la vita assai più facilmente. Se fossimo tutti guidati dalle massime dei Dieci Comandamenti, il mondo sarebbe indubbiamente mi gliore.

Lo scopo di questo libro è fornire delle massime che migliorino le relazioni.
I ‘comandamenti’ che leggerete sono stati raccolti da un ragguardevole gruppo di eminenti esperti che offrono consulenza ad ampio spettro sulle relazioni interpersonali e su come renderle più soddisfacenti. Ciascuno di essi, inoltre, non sapeva che cosa stessero scrivendo gli altri.

Quello che distingue questo libro da altri è il fatto che le massime vengono presentate in maniera tale che sia semplice rifl etterci, un po’ come fossero ‘slogan’. Una volta assimilate, possono essere interiorizzate alla stregua di ‘comandamenti’, che arricchiranno le vostre relazioni più importanti.
Quando tali relazioni sono armoniose rendono la vita degna di essere vissuta, arricchiscono di sostanza e signifi cato il nostro lavoro e le nostre attività. Le relazioni armoniose stimolano la produzione di sostanze chimiche che contribuiscono alla salute, alla longevità e al nostro benessere generale.

La nostra speranza più grande è che le vostre relazioni più importanti risultino valorizzate, grazie alle massime contenute in queste pagine. Scegliete i comandamenti che sentite più affini e provate a ripeterli alla stregua di asserzioni, fi nché non verranno inconsciamente interiorizzati e diventeranno i vostri comandamenti
personali.
Ci auguriamo che possiate condividere un’intera vita di massime come queste. E che i comandamenti che seguono vi guidino lungo la strada.

Estratto da Giorgio Nardone’s Fan Page

Pubblicato il 13 Aprile 201219 Febbraio 2022

Il nostro modo di Costruire realtà terapeutiche

Estratto da “Giorgio Nardone’s Fan Page”

La realtà non è ciò che ci accade, ma ciò che facciamo con quello che ci accade.
A. Huxley L’arte di vedere.

Una delle convinzioni, più nefaste nei suoi effetti, degli ultimi cento anni è quella per cui se una persona soffre da anni una severa e persistente patologia psicologica la terapia dovrà essere altrettanto sofferta ed estesa nel tempo.
Tale credenza pseudo-scientifica ha resistito per decenni sia alla contraria evidenza dei fatti che alla evidente evoluzione della scienza. Tutt’oggi tale rigida assunzione persiste in certi ambienti, nei quali, forse, è più importante difendere l’ortodossia delle proprie teorie che riuscire a curare effettivamente le umane sofferenze; per questi, come per Hegel, “Se i fatti non concordano con la teoria, tanto peggio per i fatti”.
Per fortuna, nell’arco degli ultimi 30 anni, molti studiosi e autori hanno dimostrato e fatto conoscere la possibilità di risolvere efficacemente, e in tempi brevi, la maggioranza delle patologie psichiche e comportamentali.

Infatti, ciò che è importante considerare per produrre i cambiamenti desiderati non è come un problema si è venuto a formare nel tempo ma come questo si mantenga nel presente. Ciò che noi dobbiamo interrompere, quando vogliamo cambiare una realtà, è la sua persistenza. Sulla sua formazione, originata nel passato, non abbiamo alcun potere di intervento: il passato proprio perché passato non è più modificabile.
Questa apparentemente ovvia considerazione taglia fuori la stragrande maggioranza dei modelli psicologici e psichiatrici di terapia, i quali, sulla base di una epistemologia determinista o riduzionista, cercano di ricostruire le cause passate di un problema presente, con la convinzione che una volta svelate e rese consapevoli queste, il problema sfaterà.
Le cose, però, non stanno così. Nella realtà non esiste alcuna connessione “casuale lineare” tra come un problema si è formato e come questo poi persiste; soprattutto non esiste alcun nesso logico tra come il problema si è formato e come il problema può essere cambiato e risolto. Esiste invece una “circolare causalità” tra come un problema persiste e ciò che le persone fanno, spesso senza successo, per risolverlo. Questo conduce a rilevare che, nell’ottica del provocare cambiamenti, ciò che è determinante è concentrarsi sulle Tentate Soluzioni Disfunzionali in atto, poiché cambiando o bloccando queste si interrompe il circolo vizioso che alimenta il problema stesso.
Noi crediamo che la vera etica del terapeuta consiste nell’assumersi la responsabilità del cambiamento delle persone, che chiedono il nostro aiuto, nel modo più efficace ed efficiente, ovvero rapido e persistente, possibile.
Una volta interrotta tale ricorsività si è aperta la strada al reale alternativo cambiamento, e questo non sarà solo probabile ma inevitabile, in quanto la rottura dell’equilibrio precedente condurrà, attraverso esperienze concrete e ripetuti apprendimenti, allo stabilirsi di un equilibrio più funzionale, basato sulle nuove percezioni della realtà.

Per rendere chiaro un processo di cambiamento di tale tipo appare utile ricorrere ad un esempio che deriva dalla psicologia sperimentale (Orstein, 1987), o meglio ad una esperienza che il lettore può sperimentare direttamente con se stesso .

L’esperimento è questo: <[…] il lettore si metta tre secchi di acqua davanti, uno con acqua molto calda, un altro con acqua molto fredda e un terzo con acqua tiepida. Adesso il lettore metta la mano destra nell’acqua calda e la sinistra in quella fredda. Dopo qualche minuto, infili contemporaneamente le due mani nell’acqua tiepida. Si avrà un’esperienza un pochino sconvolgente.
Per la mano destra l’acqua sarà molto fredda, per la mano sinistra sarà molto calda. Eppure è lo stesso cervello. Ma la mano destra non sa cosa fa la mano sinistra.>
Quello che è veramente interessante notare, è che, sulla base della percezione della mano destra aggiungereste acqua calda, sulla base della percezione della mano sinistra aggiungereste acqua fredda.

E’ chiaro quindi come sia la nostra percezione delle cose che costruisce, letteralmente, la realtà dei nostri comportamenti, e come la nostra percezione sia costruita sulla base di quello che abbiamo sperimentato e creduto precedentemente.

Di conseguenza a ciò, l’intervento che conduce al cambiamento consiste nel provocare delle concrete esperienze percettive, che mettano la persona nella condizione di provare qualcosa di diverso nei confronti della realtà da cambiare, in modo da aprire così la porta a nuove reazioni emotive e comportamentali.

Si tratta quindi di vere e proprie esperienze, che:

• sono vissute in prima persona dal paziente
• sono guidate in modo sapiente dal terapeuta strategico
• modificano la realtà per la quale la persona soffre

Non si tratta quindi di un cambiamento dei comportamenti, come qualche nostro critico ci accusa di sostenere, nemmeno di un cambiamento delle cognizioni e neanche di un cambiamento nelle emozioni, ma di un cambiamento che avviene a livello delle percezioni, delle emozioni, delle cognizioni e dei comportamenti, sulla scia di una esperienza concreta, capace di modificare il modo stesso in cui la realtà è percepita.

Trasponendo quanto esposto fin qui in ambito clinico, ne deriva una formulazione della terapia completamente diversa da quelle tradizionali, sia da un punto di vista teorico che logico e applicativo.

Considerati da questa prospettiva, i disturbi mentali sono infatti intesi come il prodotto di una modalità disfunzionale di percezione e reazione nei confronti della realtà, realtà che è letteralmente costruita dal soggetto/i attraverso le sue reiterate disposizioni e azioni. Processo “di costruzione”, quindi, all’interno del quale, come già dimostrato, se cambiano le modalità percettive della persona cambieranno anche le sue reazioni.

La concezione di Problem-Solving Strategico, che sta alla base della Terapia Breve Strategica è guidata da tale apparentemente semplice logica, che nella pratica clinica si esprime nel condurre il paziente, spesso mediante stratagemmi, trabocchetti comportamentali, benefici imbrogli e forme di raffinata suggestione, ad esperire e perciò vivere la sua realtà in un modo nuovo e più funzionale. Tali nuove e correttive esperienze percettive, come già esposto, condurranno a cambiare le sue precedenti disfunzionali disposizioni percettivo-emotive, cognitive e comportamentali.
La terapia breve strategica è un intervento terapeutico rapido e focale orientato alla estinzione dei disturbi presentati dal paziente.
Questo approccio non è una terapia superficiale e sintomatica ma un intervento radicale, poiché mira alla ristrutturazione dei modi traverso cui ognuno costruisce la realtà che poi subisce.

La concezione clinica di base è che la risoluzione del disturbo richieda la rottura del sistema circolare di retroazioni tra soggetto e realtà, che mantiene la situazione problematica. A tale prima fase, seguirà la ridefinizione e la conseguente modifica delle rappresentazioni del mondo che costringono la persona alle risposte disfunzionali.
Da questa prospettiva, la modalità di conduzione di terapia è decisamente diversa da quella tradizionale della psicoterapia a lungo termine. Ad esempio il terapeuta invece di indottrinare il paziente con la sua teoria e il suo linguaggio, cerca di entrare nella logica di questi e di utilizzarne il linguaggio e le modalità di rappresentazione che gli sono proprie: questo al fine di aggirare le resistenze al cambiamento.
Il ricorso a notizie o informazioni sul passato o sulla cosiddetta “storia clinica” del soggetto rappresenta solo un mezzo per potere mettere a punto le migliori strategie di soluzioni dei presenti, e non una procedura terapeutica, come nelle forme classiche di psicoterapia.
L’attenzione terapeutica è focalizzata su :

A) – come la persone che portano il problema, e le altre persone intorno a queste, hanno cercato e cercano, senza successo, di risolvere il problema (le tentate soluzioni che alimentano il problema )
B) – come è possibile cambiare tale situazione problematica nella maniera più rapida ed efficace (le strategie o stratagemmi che possono produrre esperienze percettive alternative di tipo correttivo).

Dopo avere concordato con il paziente gli obiettivi della terapia si costruiscono, sulla base di questi, le strategie terapeutiche mirate all’ infrangere le modalità di persistenza del problema .

La prima fase del trattamento ricopre un ruolo estremamente importante, che è quello di aprire nuove prospettive al paziente, che poi in tempi brevi verranno consolidate tramite concrete indicazioni. Si ricorre a tal fine all’utilizzo di forme raffinate di comunicazione suggestiva, che permettono di aggirare le resistenze al cambiamento e di ingiungere le prescrizioni che condurranno la persona alle concrete esperienze di cambiamento.

In questo modo, come è nella maggioranza dei casi, la patologia si sblocca entro le prime 4 o 5 sedute. Tale rapido cambiamento conduce ad una progressiva modifica dei modi in cui le persone percepiscono se stessi, gli altri e il mondo. Ciò sta a significare che la prospettiva di percezione della realtà del paziente si sposta dalla precedente rigidità patogena verso una elasticità percettiva-reattiva. A tale cambiamento corrisponde un progressivo innalzamento di autonomia personale ed un incremento dell’autostima, dovuto al recupero della fiducia nelle proprie risorse e capacità personali .

Da questa ottica, appare assurda la usuale convinzione che problemi e disagi che persistono da molto tempo, necessitino obbligatoriamente, per essere risolti, di un altrettanto lungo e sofferto trattamento terapeutico.
In molti casi, mediante un piano strategico ben congeniato e ben applicato, si possano sbloccare, in tempi rapidi (talvolta dopo un solo incontro), problemi e disturbi radicati da anni.

Ovviamente esistono casi che richiedono una terapia più lunga ed altri minor tempo. Tuttavia, rimaniamo convinti che se una terapia funziona, allora deve produrre cambiamenti significativi molto rapidamente. Se ciò non avviene, molto probabilmente la strategia terapeutica utilizzata non funziona e si rende necessario cambiarla con una più funzionale.
In ogni caso si richiede al terapeuta una grande elasticità mentale, unita ad un repertorio ampio di tecniche di intervento, tale da permettere di cambiare rotta quando i dati fanno rilevare di essere fuori dalla direzione desiderata e di studiare strategie “ad-hoc” per ogni caso specifico.

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