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psicologo | psicoterapeuta | trainer | coach strategico

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Tag: problem solving

Pubblicato il 16 Novembre 201519 Febbraio 2022

SOPRAVVIVERE AI “COMPITI PER CASA”

marcopagliai

SOPRAVVIVERE AI “COMPITI PER CASA”
Ormai da anni, psicologi e pedagogisti avvertono che passare le serate a finire, completare e correggere i compiti dei figli è inutile, anzi, controproducente sotto vari punti di vista. Ma quali sono i motivi che spingono comunque i genitori ad aiutare i propri bambini nello svolgimento dei compiti per casa? Spesso sono mossi dal desiderio di dargli una mano perché visti in difficoltà, o per alleviargli il fardello poiché stanchi dopo judo, nuoto e calcio. La motivazione più frequente però è quella di poter contribuire all’orgoglio di saperli primi della classe o poter scacciare i sensi di colpa che si originerebbero qualora arrivassero a scuola senza compiti.

Un recente studio americano afferma che l’intervento dei genitori nelle attività scolastiche sia nella maggior parte dei casi semplicemente inutile se non addirittura dannoso. In questo studio sono state messe in relazione la quantità di “aiuti” genitoriali (per i compiti per casa, la scelta del college, il volontariato nelle attività extra scolastiche e i rapporti con i professori) con i risultati conseguiti dai figli: i risultati della ricerca confermano che i genitori più interventisti non hanno accresciuto il successo accademico dei figli, anzi in diversi casi lo hanno involontariamente ostacolato.

Se i compiti per casa servono a far sì che si possano consolidare gli apprendimenti, stimolare l’autodisciplina e sviluppare il senso di responsabilità, l’intervento dei genitori impedisce ai figli innanzitutto di trarre beneficio dagli esercizi, limita la loro possibilità di mettersi alla prova, di imparare dagli errori, di sviluppare la capacità di impegnarsi e di accettare la fatica.

COSA EVITARE

Monitorare va bene, aiutare un po’ meno se questo significa ‘risolvere’ i quesiti: se ci si accorge che il ragazzo non capisce qualcosa, lo si deve invitare a rivedere la regola o la lezione, non suggerirgli la risposta esatta. Se il genitore percepisse la mole di lavoro pomeridiano richiesta dalla scuola come troppo onerosa per suo figlio, potrà parlarne con l’insegnante, non assolvere i doveri del figlio o esplicitare riserve sui compiti per casa davanti a lui. Anche la correzione a fine compiti non risulta particolarmente utile: sarà la maestra, nel contesto scolastico, a trovare gli errori, correggerli, e provvedere, se necessario, a rispiegare quello che non è stato compreso. Questo consentirà all’insegnante di monitorare il processo di apprendimento di tutti i suoi allievi senza che sia falsato dai dopanti aiuti genitoriali.

COME AIUTARE

L’aiuto utile che i genitori potranno offrire al figlio sarà quello di tipo ‘organizzativo’: decidere un orario da rispettare, offrendogli un ambiente tranquillo, ben illuminato e privo di distrazioni, invitando qualche volta gli amici a studiare insieme perché anche fare i compiti abbia un risvolto più piacevole. Soprattutto evitando critiche e correzioni ma premiando i successi e gratificando l’impegno.

CURIOSITÀ

  • Dalla Carta internazionale dei diritti dell’infanzia, art 31: “Gli Stati membri riconoscono al fanciullo il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…”
  • “Diritto al riposo e allo svago” (sancito dall’Articolo 24 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo) riconosciuto a tutti i lavoratori – e perché non anche agli studenti?;
  • Circolare Ministeriale nr.177 del 14 maggio 1969 “Riposo festivo degli alunni” che disponeva che agli alunni delle scuole elementari e secondarie di ogni ordine e grado non venissero assegnati compiti da svolgere o preparare a casa per il giorno successivo a quello festivo.
  • 2018 Arrivato il decalogo “Regola compiti”, a cura del Dirigente Scolastico Maurizio Parodi e destinato al Ministro Marco Bussetti e al Sottosegretario Salvatore Giuliano. Il Dirigente afferma: “Premesso che nessuna norma impone di dare i “compiti a casa” (in altri Paesi è addirittura vietato), e le sole occasioni nelle quali il Ministero si è occupato dei compiti è stato per raccomandare di ridurli e non assegnarli nel fine settimana e durante le vacanze (finanche nella scuola secondaria di secondo grado), ed essendo necessaria e urgente la regolamentazione di tale pratica a causa del carico di lavoro domestico, sempre più soverchiante, imposto agli studenti italiani (dati Ocse) fin dai primi anni di scuola, persino nelle classi a tempo pieno, in ottemperanza all’art.31 della Convenzione dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza che sancisce, per ogni bambino/a e ragazzo/a, “il diritto al riposo e al tempo libero, a dedicarsi al gioco e ad attività ricreative proprie della sua età…”, ratificata dallo Stato italiano Il 27 maggio 1991, con Legge n.176. Si propone il seguente modello di Regolamento che i dirigenti degli Istituti comprensivi potranno sottoporre agli Organi collegiali e inserire nel Patto di corresponsabilità educativa.“

Ecco il decalogo REGOLACOMPITI:

1. I docenti che decidano di assegnare compiti a casa si impegnano a correggerli tutti e a tutti – altrimenti non avrebbe senso farli.

2. I docenti che decidano di assegnare compiti si impegnano a preparare adeguatamente gli studenti affinché siano in grado di svolgerli per proprio conto (devono verificarlo e garantirlo ai genitori) – sarebbe assurdo e umiliante chiedere loro di fare ciò che non sanno fare.

3. Ai compiti svolti a casa non deve essere assegnato alcun voto – il docente non può sapere come e da chi siano svolti.

4. I compiti non fatti non possono essere “recuperati” sacrificando la ricreazione che per nessun motivo, men che mai “disciplinare”, deve essere ridotta o annullata – gli studenti ne hanno bisogno e diritto.

5. I compiti non svolti durante i periodi di assenza (es. per malattia) non devono essere recuperati – non sarebbe umanamente possibile.

6. La giustificazione del genitore per il mancato svolgimento dei compiti deve essere acquisita evitando reprimende o punizioni – umilianti per lo studente e offensive per i genitori.

7. Nelle classi a 40 ore (tempo pieno), non si assegnano compiti: le attività didattiche devono esaurirsi nelle 8 ore di forzata immobilità e concentrazione – pretendere un ulteriore impegno sarebbe controproducente, penoso, crudele.

8. I docenti che decidano di assegnare compiti pomeridiani verificheranno, preventivamente, che non richiedano a nessuno studente un impegno giornaliero che superi:
– 10 minuti nelle classi prime della scuola primaria
– 20 minuti nelle classi seconda e terza
– 30 minuti nelle classi quarta e quinta
– 40 minuti nelle classi prime della scuola secondaria di primo grado
– 50 minuti nelle classi seconde
– 60 minuti nelle classi terze.

9. Non possono essere assegnati compiti nel fine settimana e durante i periodi di vacanza o sospensione delle lezioni – agli studenti deve essere permesso di ricrearsi (garantito il “diritto al riposo e al gioco”), e alle famiglie di ritrovarsi, senza l’assillo stressante dei compiti.

10. Non possono essere assegnati “compiti per le vacanze” (ossimoro logico e pedagogico) – per le ragioni già espresse nel punto precedente e per evitare che i docenti, come previsto dal primo punto di questo Regolamento, trascorrano il resto dell’anno scolastico a correggere gli esercizi previsti dai “Libri per le vacanze”.

Pubblicato il 6 Febbraio 201419 Febbraio 2022

Scegliere i collaboratori nel lavoro

Prima regola, mai fidarsi dell’amore a prima vista. La scelta di un partner nel lavoro non vale forse quanto quella di un compagno nella vita? E allora indispensabile è andare contro tendenza. E guardarsi dalle trappole dell’empatia. A spiegarlo è uno dei massimi esperti di problem solving aziendale, Giorgio Nardone, psicologo e fondatore del Centro di Terapia Strategica di Arezzo. «Spesso ci ritroviamo vittime di una cultura da manuale. Ormai sappiamo che parlare a braccia conserte durante un colloquio è considerato un segnale di chiusura e tamburellare le dita sul tavolo un indizio di insicurezza. Ma presi da soli, sono dettagli svianti». Quando manca l’aiuto di un consulente, per formare la squadra ideale, fiutare il socio con cui fondare la start up del secolo o anche solo scegliere collaboratori affidabili, occorre soprattutto porre le domande giuste. «Dare ai nostri interlocutori la possibilità di esprimere in libertà il proprio punto di vista scatena reazioni interessanti », continua Nardone. «Sono le domande semplici i veri tranelli. Prima di scegliere un collaboratore gli chiederei tre cose: che cosa lo spinge a ottenere il posto, cosa pretenderebbe se fosse lui ad assumere, come pensa di svolgere il lavoro. La sua vera natura verrà fuori naturalmente. Indizi come sguardo diretto o portamento sicuro ingannano: l’empatia che scatenano può anche portare fuori strada».

Pubblicato il 2 Luglio 201219 Febbraio 2022

L’AZIENDA VINCENTE

Il sistema azienda rappresenta una «qualità emergente» in grado di essere efficace per i suoi scopi solo se funziona armonicamente.
Tale condizione inevitabilmente viene creata e alimentata dalle relazioni tra gli esseri umani che vivono e che agiscono al suo interno: anche quando può sembrare che la complessità dell’organizzazione li travalichi, sono sempre e comunque gli individui e la loro cooperazione a costruire il successo o l’insuccesso di un’azienda.
Trattare di questo significa focalizzarsi sul fattore umano che crea, nutre e talvolta avvelena o distrugge l’organizzazione produttiva, con lo scopo di risvegliare l’attenzione sulle capacità dell’individuo e dei gruppi di persone all’interno di quell’organismo vivente che è l’azienda, in modo da sospingerne l’anelito vitale.
L’azienda che funziona come il migliore dei velieri sa catturare e farsi sospingere dai venti interni ed esterni alla sua organizzazione facendo sì che ogni singola componente dell’equipaggio si senta artefice del successo.

Da Nardone libri, collana, saggi.

IN ANTEPRIMA IL PRIMO CAPITOLO

Capitolo 1
PROBLEM SOLVING STRATEGICO: IL RASOIO DI OCCAM DELLA CONSULENZA E DELLA FORMAZIONE

Ogni teoria razionale, non importa se scientifica o filosofica, è tale nella misura in cui cerca di risolvere determinati problemi.
KARL POPPER, Breviario

«Tutto ciò che si può con poco, invano viene fatto con molto»: ecco la folgorante formulazione di Guglielmo di Occam del suo celebre «rasoio», principio metodologico con cui il filosofo intendeva evidenziare i limiti e i pericoli dell’assunzione, di fronte alle problematiche umane, di visioni idealistiche e metodologie iper-razionali che prevedano complicati processi di ragionamento. La metafora del rasoio, infatti, suggerisce l’idea che dal punto di vista metodologico sia opportuno eliminare, con tagli di lama e mediante approssimazioni successive, le ipotesi più complicate.
Il rasoio di Occam rappresenta uno dei principi cardine del problem solver strategico: l’idea cioè che si possa ottenere la soluzione di problemi anche estremamente complessi mediante una procedura semplice ed economica, cercando di ridurre al minimo i «costi» esistenziali e materiali per la persona o l’organizzazione.
Prima di passare all’esposizione dettagliata degli interventi realizzati attraverso i case history commentati, verrà offerta qui una presentazione sintetica del nostro modello sotto forma di «istruzioni per l’uso», rimandando ad altri testi per gli ulteriori approfondimenti teorici e tecnici (Nardone, Mariotti, Milanese, Fiorenza, 2000; è OK si RIFERISCE a“la terapia azienda malata]; Milanese, Mordazzi, 2007; Nardone, 2009).

Sequenza riassuntiva delle fasi del problem solving strategico (PPS)

PROBLEMA/OBIETTIVO

DEFINIRE IL PROBLEMA
Cosa è effettivamente il problema, chi ne è coinvolto, dove si esprime, quando appare, come funziona. Dare una descrizione il più dettagliata possibile, in termini logici e analogici, in modo tale da «partire dopo per arrivare prima».

ACCORDARE L’OBIETTIVO
Una volta definito il problema, si descrivono i cambiamenti concreti che, una volta realizzati, porterebbero ad affermare che il problema è risolto. Ovvero, si definisce l’obiettivo da raggiungere, in termini sia logici che analogici. Questo è il secondo passo di un processo di problem solving strategico.

ANALISI E VALUTAZIONE DELLE TENTATE SOLUZIONI
La terza fase è rappresentata dall’individuazione e valutazione di tutti i tentativi fallimentari messi in atto finora per risolvere il problema in questione. Questa è la fase cruciale di studio della soluzione che parte, non a caso, dalla valutazione di tutte quelle già tentate ma che non hanno avuto successo. Si tratta del costrutto centrale del PSS, quello di tentata soluzione che, se non funziona ma viene reiterata nel tempo, tende a mantenere il problema e a complicarne il funzionamento.

TECNICA DEL COME PEGGIORARE
Una volta individuate le tentate soluzioni, si procede ponendosi la seguente domanda: «Se io volessi volontariamente e deliberatamente far peggiorare la mia situazione anziché migliorarla, cosa potrei fare o non fare? Cosa potrei pensare o non pensare? Quali sarebbero tutti i metodi o le strategie che, se adottate, porterebbero a un sicuro fallimento nel mio progetto?»
Questa tecnica si ispira all’antico stratagemma cinese: Se vuoi drizzare una cosa, impara prima come storcerla di più.

TECNICA DELLO SCENARIO OLTRE IL PROBLEMA
Oltre alla tecnica presentata, per essere ancora più concretamente focalizzati sull’obiettivo da raggiungere abbiamo formalizzato un’altra tecnica innovativa: immaginare lo scenario ideale al di là del problema.
Si tratta di domandarsi quale sarebbe lo scenario, riguardo alla situazione da cambiare, una volta che il problema fosse completamente risolto o, nel caso di miglioramenti da ottenere, che l’obiettivo fosse completamente raggiunto. In altri termini, la persona deve immaginare quali sarebbero tutte le caratteristiche della situazione ideale dopo aver realizzato il cambiamento strategico.

TECNICA DELLO SCALATORE
Di fronte a un problema complesso da risolvere, al fine di costruire una strategia efficiente oltre che efficace, risulta utile partire dall’obiettivo da raggiungere e immaginare lo stadio immediatamente precedente, poi lo stadio precedente a quest’ultimo, sino a giungere al punto di partenza: in questo modo si suddivide il percorso in una serie successiva di micro-obiettivi che tuttavia prendono avvio dal punto d’arrivo per risalire al primo passo da compiere. Questa strategia mentale apparentemente controintuitiva permette di costruire agevolmente la sequenza di azioni da realizzare per risolvere il problema, partendo dal più piccolo ma concreto cambiamento possibile.

AGGIUSTARE IL TIRO PROGRESSIVAMENTE
Talvolta i problemi sono così complessi da richiedere non una sola soluzione, ma una sequenza di soluzioni. Come nel gioco delle scatole cinesi o delle matrioske russe, aperta la prima se ne trova un’altra al suo interno, dentro la quale ce n’è un’altra ancora e così di seguito fino all’ultima. Di fronte a situazioni di questo tipo è fondamentale evitare di voler affrontare insieme tutti i problemi, iniziando invece dal più accessibile. Una volta risolto il primo problema si passa al secondo e così via, senza mai perdere però la visione d’insieme e delle interazioni possibili tra le concatenazioni di problemi.

SOLUZIONE

Per definizione il PSS può essere applicato a qualunque tipologia di problema e ad ambiti decisamente diversi fra loro, tra i quali persino quello della ricerca empirica. Quest’ultima ha infatti costituito il fondamento metodologico per la messa a punto delle numerose forme specifiche di intervento terapeutico e di comunicazione strategica sviluppate presso il nostro Centro e applicate con successo a migliaia di casi clinici e a centinaia di casi manageriali.
Tale logica si differenzia dalle logiche tradizionali per la sua caratteristica di mettere a punto le tecniche di intervento sulla base degli obiettivi prefissati e delle specifiche caratteristiche del problema affrontato, piuttosto che sulla base di una rigida teoria precostituita da rispettare. Nell’approccio strategico evoluto, infatti, il presupposto fondamentale è la rinuncia di qualsiasi teoria forte che stabilisca a priori la strategia di intervento. Da questa prospettiva è sempre la soluzione che si adatta al problema e non viceversa, come avviene nella maggioranza dei modelli di intervento tradizionali.
Al problem solver strategico non interessa conoscere le verità profonde e il perché delle cose, ma solo «come» farle funzionare nel modo migliore possibile. La sua prima preoccupazione è quella di adattare le proprie conoscenze alle «realtà» parziali che si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo a punto strategie fondate sugli obiettivi da raggiungere e in grado di adattarsi, passo dopo passo, all’evolversi della «realtà» su cui si interviene.
Abbandonando la rassicurante tesi positivista di una conoscenza «scientificamente vera», nell’intervento strategico ci si occupa, infatti, di individuare i modi più «funzionali» di conoscere e agire, ovvero di condurre l’individuo alla «consapevolezza operativa». Ciò significa lasciare in secondo piano la ricerca delle cause degli eventi, per concentrarsi sullo sviluppo di una sempre maggiore capacità di gestire strategicamente la realtà che ci circonda e raggiungere così i propri obiettivi: saranno proprio le soluzioni efficaci a spiegare le matrici dei problemi risolti.
Pertanto la domanda sul «perché» viene sostituita con quella sul «come funziona». Chiedendosi «come funziona» una certa situazione, infatti, si evita di andare alla ricerca delle cause e dei «colpevoli», focalizzandosi, invece, sulle modalità che mantengono un determinato equilibrio e su come questo possa essere modificato. Ciò significa orientare l’osservazione sulla persistenza di un problema piuttosto che sulla sua formazione: infatti è solo sulla persistenza di un problema che si può intervenire. Chiedersi «come funziona» orienta l’indagine sulla ricerca del cambiamento nel presente, mentre domandarsi «perché» conduce a ricercare le spiegazioni in un passato che in ogni caso non può comunque cambiato.
Rinunciando alla pretesa di una conoscenza a priori dei fenomeni oggetti di studio, il problem solver strategico deve avere a disposizione un «riduttore di complessità» che gli consenta di cominciare a intervenire sulla realtà da modificare e di svelarne così, progressivamente, la modalità di funzionamento. Tale riduttore è stato individuato nel costrutto di «tentata soluzione».
Come indica il filoso della scienza Karl Popper (1972, 1976), quando si inciampa su un problema, per economia mentale si tende a far ricorso all’esperienza riproponendo interventi risolutivi che in passato hanno funzionato per problemi analoghi. Di fronte all’insuccesso di tali strategie, poi, piuttosto che ricorrere a modalità di soluzione alternative, si tende ad applicare con maggior vigore la strategia iniziale, nell’illusione che fare «più di prima» la renderà efficace. Questi tentativi di reiterare una stessa soluzione che non funziona nel presente, ma che aveva funzionato nel passato, alla fine innescano un complesso processo di retroazioni in cui sono proprio gli sforzi in direzione del cambiamento a mantenere la situazione problematica immutata o a complicarla ulteriormente. Da questo punto di vista possiamo affermare che le «tentate soluzioni diventano il problema» (Watzlawick, Weakland, Fisch, 1974). Pertanto è lo studio delle soluzioni applicate che ci fa conoscere il problema e le sue modalità di persistenza, ovvero come questo si alimenta grazie agli effetti dei tentativi disfunzionali di risolverlo. Con le parole di Giorgio Nardone: «Si conosce un problema attraverso la sua soluzione» (Nardone, Portelli, 2005).
Quando un sistema si trova in questa situazione è invischiato in un «gioco senza fine»: il sistema stesso e i suoi componenti sono parte attiva del problema e solo un cambiamento introdotto dell’esterno, che guidi a modificare il modello disfunzionale, rappresenta una soluzione concreta al problema.
La prima cosa che il problem solver dovrà fare, quindi, sarà individuare le «tentate soluzioni» che il sistema e gli individui implicati hanno messo in atto finora per raggiungere un dato obiettivo o per modificare una situazione ritenuta disfunzionale. L’intervento strategico si occuperà di rompere, nel modo più efficace e rapido possibile, il meccanismo autopoietico stabilitosi tra le tentate soluzioni e la persistenza di un equilibrio disfunzionale, per poi condurre alla costruzione di un nuovo equilibrio persistente funzionale.
Nei capitoli che seguono cercheremo di rendere il più chiaro e concreto possibile ciò che è stato qui esposto in maniera schematica. Ma prima di procedere ci sembra cruciale mettere in risalto il fatto che, per applicare con efficacia il modello di PSS, è necessario non solo il «sapere», bensì anche il «saper fare», ovvero la capacità di comunicare agli altri e a se stessi consentendo di evadere dalla trappola degli schemi mentali e comportamentali.
Per questa ragione nel testo sarà data ampia spiegazione anche della comunicazione strategica.

PROBLEM SOLVING STRATEGICO
+
COMUNICAZIONE STRATEGICA

Logica di problem solving e comunicazione rappresentano le due anime dell’approccio strategico; non può esistere problem solving strategico senza una comunicazione strategica, e viceversa. Poiché il primo rappresenta il metodo che guida l’intervento, la seconda è il veicolo che ne permette l’applicazione. Il linguaggio, i gesti e le azioni, sono il bisturi del problem solver che, se usato con precisione chirurgica, può condurre a esiti straordinari; viceversa, se usato senza maestria non sarà possibile operare alcun cambiamento chirurgico.

http://www.ponteallegrazie.it/scheda.asp?editore=Ponte+alle+Grazie&idlibro=7558&titolo=L%27AZIENDA+VINCENTE

Casa editrice Ponte Alle Grazie
www.ponteallegrazie.it
Pubblicato il 12 Ottobre 201019 Febbraio 2022

Creare dal nulla

creare dal nulla - Firenze 21/24 ottobre 2010

Sviluppare la creatività attraverso il Problem Solving Strategico

poiché il rigore da solo è morte per asfissia,
la creatività da sola è pura follia

23 ottobre 10:00/12:00
Officina Creativa
Largo Annigoni – Sala Eventi/Incontri
con Giorgio Nardone.

Evento

Titolo Evento completo:

Creare dal nulla – Sviluppare la creatività attraverso il Problem Solving Strategico poiché il rigore da solo è morte per asfissia, la creatività da sola è pura follia

Partecipanti:

con Giorgio Nardone.

Descrizione:

workshop coordinato da Giorgio Nardone che si propone di presentare l’uso del solving strategico quale strumento per la promozione della creatività, intesa come capacità di trovare soluzioni creative ai problemi umani, nonchè modi creativi di sviluppo delle abilità e delle risorse di sinoli, gruppi e comunità.

Dall’arte del cambiamento alla tecnologia del cambiamento

Da ormai più di vent’anni Giorgio Nardone ha sviluppato il Modello di Problem Solving Strategico, la cui applicazione va dalla psicoterapia, nel trattamento di gravi patologie come i disturbi alimentari, le fobie e gli attacchi di panico, al coaching individuale e alla consulenza aziendale, scolastica e sportiva.

Giorgio Nardone internazionalmente conosciuto, tanto per la sua creatività che gli ha permesso di inventare decine di tecniche innovative, quanto, per il suo rigore metodologico attraverso il quale è giunto a  finalizzare un vero e proprio Modello di intervento per le forme più ricorrenti di problemi umani.

Questo metodo rappresenta una straordinaria “tecnologia per trovare soluzioni”.  Troppo spesso, infatti, di fronte ad un problema, si ha la tendenza a cercare la spiegazione piuttosto che la soluzione. La trappola è che la soluzione non necessita prima della spiegazione del problema poiché  sono le soluzioni che spiegano il problema e non viceversa.  Il fenomeno più sorprendente che deriva dall’assumere questa prospettiva è rappresentato dal liberare la mente del Problem Solver dalle gabbie del pensiero lineare causale, aprendogli prospettive prettamente pragmatiche orientate alla soluzione nel presente piuttosto che alla spiegazione nel passato.

L’aspetto che inoltre sorprende maggiormente del Problem Solving Strategico è il ricorso al fine di indurre il cambiamento, a stratagemmi che appaiono decisamente creativi se non talvolta “geniali”, ma risultano a prima vista disarmanti per la loro apparente semplicità. L’arte sta proprio nel trovare soluzioni semplici a problemi complicati, dove sembrerebbe invece necessario applicare strategie complesse.

Questo tipo di ingegnoso studio dei problemi e delle loro soluzioni è rappresentato dall’antica tradizione sia ellenica che orientale, dell’arte dello stratagemma, cioè l’analisi sistematica degli espedienti logici i quali, violando la mera razionalità e la comune ragionevolezza, conducono alla scoperta di soluzioni alternative a problemi irrisolvibili con le procedure ordinarie.

Fondamentale per il Problem Solver è quindi imparare, attraverso l’uso e lo sviluppo della propria creatività, ad assumere prospettive non ordinarie che gli permettano di giungere a soluzioni davvero alternative e creative. Come infatti afferma Gregory Bateson “Il rigore da solo è la morte per asfissia, la creatività da sola è pura follia”.

OBIETTIVO

La creatività non è un dono che hanno solo i geni, ma un “muscolo del cervello” che hanno tutti, e che come tutti i muscoli può e deve essere potenziato e curato perché renda al massimo.                         Leonardo da Vinci

Il workshop si propone di presentare l’uso del problem solving strategico quale strumento per la promozione della creatività, intesa come capacità di trovare soluzioni creative ai problemi umani, nonché modi creativi di sviluppo delle abilità e delle risorse di singoli, gruppi, e comunità.

Utilizzando un approccio che coniuga una conoscenza di tipo teorico con una di tipo operativo, ci si interroga su come incrementare la consapevolezza operativa, ovvero sulle modalità che permettono di incrementare l’efficacia operativa, il saper fare attraverso strategie rigorose e al contempo creative.

Bibliografia  di riferimento

Problem Solving Strategico da tasca, Nardone G., Ponte alle Grazie, Milano  2009
Le scoperte e le invenzioni della psicologia, Sirigatti S., Stefanile C., Nardone G., Ponte alle Grazie, Milano  2008
Cambiare occhi toccare il cuore, Nardone G., Ponte alle Grazie, Milano  2007
Solcare il mare all’insaputa del cielo, Nardone G., Ponte alle Grazie, Milano  2007
Guardarsi dentro rende ciechi, Watzlawick P., Ponte alle Grazie, Milano  2007
Coaching strategico, Milanese R., Mordazzi P., Ponte alle Grazie, Milano, 2007
Knowing Through Changing, Nardone G., Portelli C., Crown House Publishing, Carmarthen UK. 2005
Il dialogo strategico, Nardone G.,, Alessandro Salvini, Ponte alle Grazie, Milano, 2004
Cavalcare la propria tigre, Nardone G., Ponte alle Grazie, Milano, 2003
La terapia dell’azienda malata, Problem Solving strategico per organizzazioni,  Nardone G.,  Mariotti R., Milanese R.,  Ponte alle Grazie, Milano, 2000
Psicosoluzioni, Nardone G., Rizzoli, Milano, 1998
L’arte del cambiamento, Nardone G., Paul Watzlawick, Ponte alle Grazie, Milano, 1990
Il linguaggio del cambiamento,  Watzlawick P. , Feltrinelli, Milano,1981
Change: la formazione e la soluzione dei problemi, Watzlawick P., Weakland J. H., Fisch R., Astrolabio, Roma, 1974
Pragmatica della comunicazione umana, Watzlawick P., Beavin J. H., Jackson Don D., Astrolabio, Roma, 1971

Pubblicato il 16 Settembre 201019 Febbraio 2022

Paradosso dei 39 cammelli

I 39 cammelli

Si narra che un ricco sceicco arabo lasciò in eredità ai suoi quattro figli maschi 39 cammelli, con la clausola di doverseli dividere secondo le sue volontà, pena la perdita di tutto.
Metà dovevano andare al primogenito, un quarto al secondogenito, un ottavo la terzo figlio, ed un decimo dei cammelli all’ultimo, curando con ogni attenzione la salute degli animali che non potevano essere venduti o uccisi.
I figli andarono nel deserto a discutere, ma non fecero che litigare perché non sapevano come fare per rispettare le volontà del padre.
Erano in un momento critico della discussione, quando in lontananza videro arrivare un saggio errante a dorso di cammello. Si avvicinò ai fratelli, alla loro richiesta di aiuto si fece spiegare il problema e così rispose:CAMMELLI
“Ai vostri 39 cammelli aggiungo il mio e fanno 40; al primo di voi va la metà: 20 cammelli; al secondo un quarto: 10 cammelli; al terzo un ottavo: 5 cammelli; all’ultimo un decimo: 4 cammelli. 20+10+5+4 fanno 39 cammelli. È rimasto il mio che se permettete mi riprendo”. E se ne andò, lasciando tutti sbigottiti e senza parole.

Di fronte a questa storiella saremmo quasi portati, come i quattro fratelli, a credere che la divisione sia stata resa possibile grazie a un qualche intervento di tipo “magico”. In realtà il saggio non ha operato alcuna magia, ma si è limitato semplicemente ad applicare una logica matematica rigorosa, ossia ad aggiungere una “x”. Alla fine dell’operazione, poi, non ha fatto altro che riprendersi la “x”.

Cosa ha a che fare questo con la terapia? Ci suggerisce che il nostro “come se” disfunzionale può essere sostituito da un’altra finzione “come se” che crei una realtà sopportabile, un adattamento alla realtà nel senso di un adattamento migliore alla realtà percepita e creduta. Dopodiché questa finzione “uscirà di scena” e come nella storia dei cammelli, il cammello che è stato utilizzato per un minuto poi non sarà più necessario.

Qui, come è possibile fare in psicoterapia, il cambiamento è stato possibile grazie ad una finzione che meglio consente di raggiungere l’obiettivo, dopodiché non sarà più necessaria nemmeno quella finzione.

Proprio come il saggio errante, il tecnico del cambiamento mette in gioco i propri strumenti e la sua professionalità per poi riprenderseli dopo aver innescato un cambiamento evolutivo del sistema su cui è intervenuto. Le sue strategie non sono tuttavia frutto di un improvviso atto di creatività, ma sono basate sull’applicazione di un preciso e rigoroso modello logico di intervento. In particolare si rifà a quella branca specialistica della logica matematica nota come “logica strategica” che consente di risolvere in modo apparentemente semplice complicati problemi, che (come quello dei 39 cammelli) partendo da una logica aristotelica tradizionale sembravano irrisolvibili basandosi sui presupposti del “vero o falso” e del “terzo escluso”.

Per saperne di più:

Nardone G., Mariotti R., Milanese R., Fiorenza A. , 2000– La terapia dell’azienda malata – Ponte alle Grazie, Milano

Watzlawick P. , 1989– Il codino del Barone di Münchausen. Ovvero: psicoterapia e “realtà” – Universale Economica Feltrinelli , Milano

Per info o per prendere un appuntamento a Vicenza: info@marcopagliai.com

 

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Officine della Mente Srl Stp
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